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— Dove va lei, a quest’ora, per la campagna?

— Sono andata ad accompagnare i Tebaldi tino alla scorciatoia. Ma lei si avvia alla festa e io non voglio trattenerla — disse Flora, facendo atto di rimettersi in cammino.

Germano le sbarrò il passo dello stretto sentiero tracciato nella neve.

— Che cosa vuole che me ne importi a me della festa?

— Eppure lassù c’è una persona vestita di turchino — disse Flora, abbassando in fretta la lanterna perchè egli non le vedesse il sorrisetto di malizia e di trionfo che le serpeggiava negli angoli della bocca.

Il giovane, togliendo distrattamente la lanterna dalle mani di Flora, rispose con aria di fastidio:

— Vestita di turchino, di rosso, di verde o di tutti i colori dell’arcobaleno per me fa lo stesso, creda. E lei perchè non si veste di bianco? Sembrerebbe una fata — soggiunse, traendo un lungo sospiro senza volerlo; e avvicinò il lume al viso della giovanetta, sospinto, suo malgrado, dal desiderio di veder nella luce gli occhi puri e ridenti, il contorno soave delle gote, la delicata curva delle labbra e, sopratutto, la fossetta del mento, quella cara fossetta, dove i suoi baci avrebbero voluto volare e raccogliersi per suggere dolcezza, come le api volano e si raccolgono a sugger miele nelle corolle di un fiore.

— Lei perchè non si veste di bianco? — egli ripetè.

Qualche cosa di tanto vivo e di tanto caldo vibrava nella domanda, pur così semplice e quasi scherzosa, di Germano che Flora indietreggiò