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paolina. 17


cavalli di Woodshire, avrebbero agitato più di un cuore nella sfera dell’eletta aristocrazia.

Figuratevi di vedere un’ampia tavola coperta di panno verde, con un monte di nastri, di gomitoli, di velluti, di tela batista, e in mezzo a tutto ciò agitarsi ventidue manine, bianche, colle dita piccole e fusolate, se nonchè la punta dell’indice sinistro è alquanto offesa dall’agucchiare. Il loro conversare si poteva paragonare a quel cicalìo confuso, assordante, che fa una volata d’uccelli in una gabbia, quando vi penetra un raggio di sole.

— Siete molto seria oggi, Paolina, diceva una bella bruna dalle palpebre lunghe vellutate; troppo seria per un giorno di sabbato che ne precede uno di vacanza.

— Io seria! no davvero, rispose l’interrogata, non è mio costume — e per assicurarla maggiormente sorrise, e scoprì per metà una dentatura fina, candida, regolare, che una patrizia avrebbe acquistato, potendo, a prezzo d’un buon terzo della sua fortuna.

— Egli è che non è venuto ancora il suo marchese quinquagenario, mormorò una dispettosa dai capelli rossi, senza alzare gli occhi dal suo lavoro, e Paolina... Ma l’offesa l’interruppe con un’apostrofe severa e dignitosa, che non ammetteva risposta, e battè leggermente i suoi piccoli piedi in segno di dispetto.

A questo invito, tutti quei venti piedini disposti in circolo sopra un comune sgabello di velluto, si agitarono con percussioni assordanti.

— Chiedete scusa a Paolina, disse alla dispettosa una