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— Ma come ciò?

— L’abito che voi portate doveva essere vestito da lei questa sera.

— Povera signora!... esclamò Paolina, ah! il cielo mi perdoni tutto quello che io le faccio soffrire!

La contessa pareva di fatto preoccuparsi di quelle due maschere, si sporgeva col capo e col petto fuori del palco, vi rivolgeva sguardi inquieti, e osservava con una visibile alterazione la bionda capigliatura del domino nero, di cui alcuni ricci sporgevano con vago disordine dal cappuccio.

La era una bellissima donna sui trent’anni, e tale che anche al dì d’oggi otterrebbe da qualche Paride moderno una preferenza coscienziosa tra le molte beltà aristocratiche del paese. — Vestiva un abito di velluto in seta con lunghi pizzi di Fiandra, portava nei capelli un magnifico fiore bianchissimo, forse una tuberosa di serra, e sedeva sulla sua sedia di velluto cremisi, colla dignità d’una regina. Se non che la sua impassibilità naturale era scossa dalla preoccupazione che destava in lei la presenza di quelle due maschere, e da quell’assiduo conversare ch’esse facevano presso il suo palco, e dagli sguardi e dai gesti petulanti del domino bianco.

— Come vi divertite dunque? disse il marchese a Paolina dopo che ebbero girato qualche tempo pel teatro!

— Io mi diverto assai, rispose la fanciulla, perchè tutto ciò che vedo mi è nuovo, ma se ella crede che io sia rimasta qui abbastanza per essere osservata dalla contessa,