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96 | fosca |
buon angelo, tu non sai quanto ciò sia terribile per una donna, per me, per un essere sensibile e sventurato come son io!
S’interruppe singhiozzando.
— Calmati, non piangere, te ne scongiuro, ciò ti farà male.
— Quel giorno pensava a queste cose, e perciò fui cattiva; lo sembrai ancora di più, perché non lo sono, e mi sforzava di apparirlo. Ma tu mi hai perdonato!
— Oh, tu sei sì buona! Nulla io ho a perdonarti, nulla!
Suonarono le due ore all’orologio.
— Come passa presto la notte; il tempo vola quando si è felici — diss’ella. — Fino a quando resterai qui?
— Fino a quando vorrai.
— Fino a domattina?
— Sì.
— Cosa faremo?
— Parleremo, ma forse ciò ti affatica.
— Un poco.
— Penseremo.
— Metti la tua testa qui, così, vicino alla mia, dammi la tua mano. Dormiamo?
— Come vuoi.
— Sogniamo?
— Sì.
Tacemmo tutti e due. Ella chiuse gli occhi, e parve raccogliersi e dormire. Passammo così un’ora che mi parve un’eternità. Ogni qual volta io faceva atto di muovermi, ella trasaliva e stringeva più forte le mie mani. Pareva leggesse nel mio pensiero, tremava ad ogni idea spiacevole che mi passava nella mente, e mormorava il mio nome.
Si riscosse al rumore di certi carri che passavano sulla via.