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amore nell'arte 225

soffriva di quell’inazione a cui lo condannavano le discipline dello studio. Non vi si dedicò che per cinque anni, e a malincuore: si sarebbe detto che egli vi interveniva per una violenza che la sua mente esercitava sulla sua natura, per una forza di volizione straordinaria: la sua intelligenza era aperta, forte, serena: dopo un anno di studio egli ci aveva raggiunti, poco dopo ci aveva superati, e in breve tempo eragli rimasto più nulla da apprendere di quelle aride e sterili cognizioni, di cui si era sempre pasciuto lo spirito, e impicciolite e ingannate le nobili aspirazioni della gioventù nelle scuole.

Tutto era stato precoce in lui; la natura vi aveva sviluppato l’uomo prima del fanciullo; alla sfrenata vivacità d’un istante era successa una calma pensierosa e profonda; tutta la potenza della sua vitalità si era trasfusa nell’operosità febbrile dello spirito; si sarebbe detto che quella vita, che appariva in lui come raddoppiata, fosse pur duplice nella forza e nella celerilà della sua azione. Ed egli lo sentiva; egli aveva forse il presagio di un’esistenza breve e affannosa, e affrettavasi a trasvolare con rapidità sull’oceano de’ suoi dolori e delle sue gioie.

E infatti tutte le anime elette, tutte le intelligenze elevate hanno provato questa impazienza tormentosa, quest’avidità irresistibile dell’avvenire, questo bisogno di pascere lo spirito delle dolci seduzioni dell’ignoto. Oh potessi divorarmi la vita! È il voto, è l’esclamazione di tutte le intelligenze superiori: voto e aspirazione eloquente, che rialza un lembo della mistica cortina del futuro, che le riconforta e le rassicura del loro destino immortale. Nate per l’eternità, esse sentono il peso del finito, e anelano di spezzare i legami della materia che le incatena e le opprime.

Un giorno Lorenzo si avvide che le sue guance in-