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dema, all’ uso già de’ Re. Api consacrato al suo tempio, si menò a dar augurj a’popoli, responsi a’privati. Questo per l’Egitto prodigio di religione ; a Roma soggetto fu di scandolo ; e ne dirò a suo luogo l’altr’ anno.

XLVII. Cominciò l’anno sotto i fausti nomi dei Consoli Vespasiano Augusto la terza volta e CocceioNerva, che la fortuna dello Stato sembrò unire, onde quegli insegnasse a governare, questi imperasse. S’ accordò alla Spagna, esca alle prime mosse d’ armi, il dritto del Lazio, per ogni seme spegnere di discordia. Indi, dell’estere e civili guerre vincitore, si diè tutto al governo Vespasiano ; e la Repubblica gli si appresentò da lusso rovinata , nè più da spirito di patria , ma da amor proprio retta solo. Convinto, che da’ Principi i vizi eran iti al popolo, e vano e odioso essere tentar pubblica riforma vizioso Principe, da questo cominciò l’emenda, e reciso del principato il voluttuoso, dall’ uso passato in natura e in fregi della dignità, fe’ servir sovra tutto l’ autorità a farsi delle leggi colonna e modello.

XLVIII. Ond’esser popolare, rado era a palazzo, frequente agli Orti Sallustiani ; nè alle porte uscieri, ma a tutti aperte. Tolse via chi visitasse per armi, come sotto i predecessori e frai tumulti delle civili discordie. Di rimorsi scevro, rese altrui sicuro, abolito il crimenlese. In tal pubblica tranquillità prese le redini del governo. Presto sempre, e anzi luce levandosi, le lettere e i sommarj degli uffizj leggea: gli amici poi ammettea, e tra’ complimenti che gli faceano, si calzava e vestiva. Indi a consiglio in Senato, o a giudicar nel Foro. Preso un po’ di respiro , con garbo e bontà , in casa o fuori a cena