Pagina:Tacito - Opere storiche, 1822, vol. 1.djvu/160


LIBRO TERZO 153

di ladroneccio e di maestà, suggello allora d’ogni accusa. E Tiberio volle che Antistio Vetere, de’ grandi di Macedonia, assoluto d’adulterio (che i giudici ne rabbuffò) tornasse a difendersi di maestà, come sollevatore e consigliere di Rescupori, quando egli ammazzò Coti, e ci volle far guerra. Onde fu condennato a prigionia, senz’acqua nè fuoco, in isola lungi da Tracia e Macedonia; per cagione che la Tracia, divisa tra Remetalce e i pupilli di Coti, al nuovo nostro governo, e di Trebellieno Rufo lor tutore, calcitrava; e non meno che lui maladiva Remetalce che così lasciasse i loro popoli divorare. Presero l’armi, Celaleti, Odrusi, e altri; nazioni forti, con capi discordi, egualmente mal pratichi, che non seppero unirsi e far guerra da vero. Chi diede il guasto al paese, chi passò il monte Emo a conducer gente lontana: i più e meglio ordinati, assediaro il re e la città di Filippopoli, posta già da Filippo di Macedonia.

XXXIX. Quando tali cose intese P. Velleio generale del vicino esercito, spinse i più spediti cavalli e pedoni addosso a quelli sparsi, che andavano predando o caendo aiuti; egli col forte della fanteria andò a levare l’assedio, e tutto venne bene. I predatori furono uccisi: tra gli assedianti nacque discordia: il re uscì fuori, appunto arrivata la legione, e fecesi (non merita dirsi giornata) macello di male armati, sfilati e senza nostro sangue.

XL. Nel detto anno cominciarono le città galliche, affogate ne’ debiti, a ribellarsi; forte stimolate da Giulio Floro ne’Treviri, e da Sacroviro nelli Edui; pari di nobiltà, e meriti de’ loro antichi perciò fatti cittadini romani: raro dono e per virtù. Costoro se-