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LIBRO TERZO 145

figliuoli, ma i rovinati; sovvertendo i cavilli de’ cercatori ogni casa; e dove prima per le peccata, allora per le leggi si tribolava. Il che m’invita a dire più da alto l’origine della giustizia, e come le leggi siano a questa infinità e varietà pervenute.

XXVI. Vivevano i primi mortali1 senza reo appetito, lordura o sceleraggine alcuna, e perciò senza freni o pene. Non vi occorrevano premj, volendosi per natura il bene; non minacce di pene, non usandosi il male. Venutane la disugualità, e in luogo della modestia e vergogna, l’ambizione e la forza, le signorie montaron su, e molti popoli le hanno patite eterne. Alcuni da principio, o quando stuccati furon de’ re, vollero anzi le leggi. Queste ne’ primi animi rozzi fur semplici: le più famose diedero Minos a’ Candiani, Licurgo alli Spartani; poscia Solone più squisite e numerose alli Ateniesi. Noi resse Romolo a senno suo. Numa acconciò il

  1. Contano gli scrittori del Mondo Nuovo come nella costa, a mezzo dì dell’isola spagnuola, viveano gli uomini in questo vero secolo d’oro. Non v’era mio nè tuo; cagione di tutti i mali: non fossi, non mura o siepe gli divideva; la terra era comune con l’acqua e il sole; e ogni cosa (di sì poco eran contenti) loro avanzava; e amando il giusto per natura, e gl’ingiuriosi, come i Canibali odiando, nè leggi nè giudici conosceano, nè signorie. Quinci si può argumentare, vedendo i paesi rozzi e salvatichi, per la venuta de’ forestieri perdere la loro beata semplicitade, e acquistare lumi e splendore di nuove arti, scienze e costumi, ma con essi misera servitù, guerre, disolazioni: e ritornare la primaia salvatichezza dopo lungo giro di secoli; che se il mondo durasse tanto, tutta la terra participerebbe egualmente di tutte le umane oscurità, e di tutti gli splendori a vicenda, come delle tenebre e della luce del sole.