Pagina:Svevo - Senilità, 1927.djvu/37


— 33 —

lia e delle quali ella soleva parlargli. Finiva ch’ella accanto a lui riprendeva il lavoro e restavano nella stessa stanza ognuno solo coi propri pensieri.

Una sera ella lo guardò a lungo senza ch’egli se ne avvedesse; poi, sorridendo con isforzo, gli chiese: — Sei stato finora con lei?

— Chi lei? — chiese egli subito ridendo. Poi si confessò perchè aveva bisogno di parlare. Oh, era stata una serata indimenticabile. Aveva amato nella luce lunare, nell’aria tiepida, dinanzi a un paesaggio sconfinato, sorridente, creato per essi, per il loro amore. Ma egli non sapeva spiegarsi. Come poteva dare un’idea di quella serata alla sorella non parlandole dei baci d’Angiolina?

Ma mentre egli ripeteva: — Quale luce, quale aria! — ella indovinava sulle sue labbra le traccie dei baci ai quali egli pensava. Odiava quella donna che non conosceva e che le aveva rubata la sua compagnia e il suo conforto. Ora ch’ella lo vedeva amare come tutti gli altri, le mancava l’unico esempio di volontaria rassegnazione allo stesso proprio triste destino. Tanto triste! Si mise a piangere, da prima con delle lagrime silenziose che cercava di celare sul lavoro, poi, quando egli di quelle lagrime s’accorse, con singhiozzi impetuosi che invano tentò di reprimere.

Cercò di spiegare quelle lagrime: era stata indisposta tutto il giorno, non aveva dormito la notte