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DIARIO DI BORDO


17 - 3 - 900 Fa un freddo cane. Ecco già che comincio a sentire qualche cosa e che per me il viaggio non sarà stato vano. La nave balla sulle onde in modo da farmi pensare che sia stata male ideata o male eseguita. Mi trovai sul ponte di comando col Navigatore e lo guardai nella faccia seria e dura di monomane. La tenue espressione che vi si può leggere mi parve d’inquietudine. Gli occhi seguivano con grande attenzione la cavalcata nel vero senso della parola del suo guscio strano e poco estetico. «Comandante» gli dissi molto serio «non le sembra che quella linea fosca all’orizzonte sia l’annunzio di un banco di ghiaccio?» Riottison puntò nella direzione della prora il canocchiale e lo riabbassò subito: «È della nebbia!» disse brevemente. Guardò una seconda volta e guardò piú a lungo: «È della nebbia!» ripeté. Austero e calmo diede un’indicazione al secondo ma io ebbi la soddisfazione di constatare la sua preoccupazione come se me l’avesse confessata. Riottison non soffriva certo di follia del dubbio. Usava guardare una volta sola ed essere certo come una macchina fotografica. Guardare due significava ch’egli sperava tanto nel ghiaccio da indursi a dubitare. Diavolo! Egli ha fabbricato il suo guscio per il ghiaccio e non vi sa giungere. Sarebbe bellissimo che questa nave fatta per giungere proprio al polo (non mica il magnetico, veh!, ma proprio il punto dove termina l’asse della terra) naufragasse a pochi chilometri dalla costa della Norvegia. Tanto avrebbe valso di ammazzarmi, come ne avevo fatto divisamento a Cristiania.

22 - 3 - 1900 Come sono pudorato! L’impedimento massimo alla continuazione di tale diario consiste nella mia paura che altri s’accorga di questa mia occupazione ch’è alquanto strana a tale grado d’altitudine. Bisogna però vedere chi sieno questi altri. Intanto Riottison un ambizioso implacabile, una complicazione di scienziato (scienze molto esatte) e di avven-