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esclama: «Oh, guarda! L’avevo dimenticato. Il mio dovere è di lavorare».

Questa era la condanna di Felicita. Non si poteva dosarla. Alla sera venne da me il fratello di Felicita. Vedendolo trasecolai dallo spavento tanto piú che fu proprio Augusta che lo diresse fino al mio studio. Paventando quello ch’egli volesse dirmi fui ben contento che Augusta subito s’allontanò.

Egli sciolse i nodi di un fazzoletto da cui trasse un pacco: Cento scatoline di sigarette sport. Le distribuí in cinque parti ciascuna da venti scatoline e fu perciò facile di verificarne la quantità. Mi fece poi vedere come ogni scatolina fosse molle al tatto. Erano state scelte una per una da una grande partita. Era sicuro che mi sarei trovato contento.

Io ero infatti contentone perché dopo di essere stato tanto spaventato mi sentivo rassicurato del tutto. Pagai subito le 160 lire che gli dovevo ed anzi lietamente lo ringraziai. Lietamente anche perché ero proprio pervaso dal desiderio di ridere. Curiosa donna quella Felicita che, abbandonata, non negligeva l’interesse del suo appalto.

Ma il pallido uomo, lungo, allampanato, dopo di aver ficcato in saccoccia le lire ricevute, non accennava ancora ad andarsene. Non pareva il fratello di Felicita. Io l’avevo già visto altre volte ma vestito meglio. Ora era privo di colletto e il suo vestito era lindo ma veramente sdruscito. Strano che sentisse anche il bisogno di avere un cappello speciale per il giorno di lavoro: Quello poi era veramente sudicio e sformato dal lungo uso.

Mi guardava intensamente ed esitava a parlare. Pareva che il suo sguardo un po’ fosco in cui la luce brillava fuori di posto m’invitasse a indovinare quello ch’egli doveva dirmi. Quando egli finalmente parlò il suo sguardo si fece anche piú supplice, tanto supplice che finí col sembrarmi minaccioso. Già supplicare intensamente rasenta la minaccia. Io capisco benissimo che messe in balía di certi contadini, le immagini dei Santi cui furono rivolte le preci, finiscano per punizione sotto al letto.

Finalmente disse con voce sicura: «Felicita dice che siamo al dieci del mese».