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per non so che causa fu impedito di procedere per varie ore. Non credo che le cose di questo mondo vadano forzate... specialmente alla nostra età».

Non mi bastò e gli chiesi: «Non ti fece nulla di vedere che anch’io andavo a prendere le sport dalla signorina Felicita?».

Egli rispose subito deciso in modo che la sua mandibola non ebbe il tempo di roteare: «E che vuoi che m’importi? Geloso io? Mai piú! Siamo vecchi, noi due. Siamo vecchi! Talvolta possiamo concederci di fare all’amore. Ma gelosi non dobbiamo essere perché facilmente incorriamo nel ridicolo. Gelosi mai! Se ascolti me, non farti scorgere geloso perché si riderebbe di te».

Le parole suonavano abbastanza bonarie, scritte come sono su questa carta, ma il tono era piuttosto forte pregno d’ira e di disprezzo. Arrossato nel grosso volto egli s’era accostato a me e mi misurava piú piccolo di me guardando in alto come se avesse cercato di scoprire sul mio corpo il punto piú vulnerabile da colpire. Perché ce l’aveva con me nello stesso momento in cui si dichiarava non geloso? Che altro gli avevo fatto: Può essere egli l’avesse con me perché avevo arrestato il suo treno a Sesanna quando egli s’apprestava di arrivare a Berlino.

Neppure io non ero geloso. Cioè avrei voluto sapere quanto egli pagasse mensilmente a Felicita. Mi pareva che se avessi saputo che — come a me pareva giusto — egli avesse pagato piú di me, io mi sarei dichiarato contento.

Ma non ebbi il tempo neppure d’indagare. Tutt’ad un tratto il Misceli si fece piú mite e s’appellò alla mia discrezione. La sua mitezza si convertí in minaccia quando ricordò ch’eravamo uno in mano dell’altro. Lo rassicurai: Ero sposato anch’io e sapevo quale importanza poteva avere nel nostro caso una parola imprudente.

«Oh» fece lui con un gesto rassicurante «non è per mia moglie ch’io ti raccomando la discrezione. Mia moglie di certe cose non si occupa da lunghi anni. Ma so che anche tu sei in cura del dottor Raulli. Ora egli minacciò di abbandonarmi se non mi tenevo alle sue prescrizioni, se bevevo un