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non so raccontargli delle storie. Il povero Valentino (con quella fantasia!) sapeva parlargli per delle ore. Io assistetti talvolta a tali racconti. Il bambino era tra le braccia del padre e guardava immoto la bocca da cui colavano le invenzioni che lo beavano. E Antonia che, rapita anch’essa, stava ad ascoltare, mi disse: «È già la quinta volta che sente la stessa storia». La voleva lui quella storia, quella della fata che va da tutti i bambini per scegliere il migliore, e scopre che tale era uno di essi che si credeva il peggiore. Noi adulti, quando ci viene detta per la seconda volta la stessa storia, la interrompiamo impazienti. Ma il mio bambino domandava la ripetizione dell’avvenimento. Come la fata attraversava il bosco le piante s’inchinavano a salutarla. E il bambino salutava divertito una pianta anche lui. Era notte o era un giorno dal sole vivo, e il bambino di notte apriva grandi gli occhi per saper evitare gli ostacoli o li socchiudeva per non lasciarli ferire dalla grande luce. Era poi lui il bambino che tutti credevano cattivo ed era invece pieno di una bontà di cui nessuno s’accorgeva e per scoprire la quale occorreva una fata. Ma la povera parola di Valentino era necessaria. Privato di essa i nervi di Umbertino non agivano. Tutta la sua efficacia aveva quella povera parola. Come la grossa bocca di Valentino s’apriva ne uscivano le parole tanto importanti che subito si materiavano in cose e persone.

Quando Umbertino capitò da me egli aveva scoperto un modo di supplire alla mancanza del padre. Le storie le raccontava lui. Ne sapeva credo due soltanto che io non saprei ridire perché non stetti mai a sentirle. Quando ne avevo sopportata una guardando i gesti interessanti del bambino in lotta con la parola, egli mi guardava per vedere come avessi goduto del suo racconto e mi domandava: «T’è piaciuta? Vuoi che te la racconti di nuovo?». Io proponevo ch’egli la raccontasse di nuovo intanto ch’io avrei letto, scritto o suonato il violino. No, dovevo starlo a sentire altrimenti egli non sentiva la realtà del racconto. Io mi provavo di star a sentire ma subito nel mio petto sorgeva il temporale solito: