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A una data ora si sarebbe potuto arrivare con comodità in tempo a Trieste, ma ad onta delle mie esortazioni egli, senza dirmelo, mi condusse a passeggio per il Carso, di cui io so tanto poco che credevo d’essere avviato verso Trieste. Quando arrivammo a Trieste io mi trovai in mezzo alla piazza ove egli mi sbarcò rammaricato dal desiderio e dal rimorso. E pieno d’innocenza Orazio mi disse: «Avresti potuto avvisarmelo al momento di partire». Io gliel’avevo detto ma era una di quelle cose per cui egli era sordo. Il tutto era avvenuto — come lo seppi poi – perché il veterinario gli aveva detto che il suo cavallo aveva bisogno di fare un dato numero di chilometri al giorno.

Ora ch’era ritornato a Trieste mi assicurò abbattuto che dopo tanta vita e tanti dolori mancava assolutamente di volere. Io l’assicurai dal canto mio ch’io non ero piú l’uomo debole ch’egli aveva conosciuto. Io non seppi credergli perché quel giorno stesso mi parve d’essere ritornato con lui a Lipizza ma trottando io stesso invece che facendomi portare dal cavallo. Volle l’accompagnassi di qui e di là. «Ti accompagno poi a casa» mi diceva e intanto andammo da una Società d’Assicurazione ove egli doveva fare la dichiarazione che aveva cambiato domicilio, da uno speditore che aveva ancora in deposito qualche suo mobile e infine m’inflisse il vecchio Ducci. Il vecchio Ducci era rimasto sempre a Trieste come me, ma dalla nostra uscita da scuola a 18 anni non avevamo scambiato una parola. Io mi ricordavo che l’ultima volta che ci eravamo visti egli m’aveva detto che voleva andar a cercar fortuna al Giappone. Poi nella nostra piccola città ci eravamo visti quasi ogni settimana e ci eravamo salutati senza mai scambiare una parola. Inoltrandosi negli anni il nostro saluto si fece sempre piú gentile. Creava fra di noi una certa intimità il fatto ch’eravamo soli in città a conoscerci da tanti anni. Ed io trovai naturale avesse rinunziato al Giappone avendo trovato la fortuna a Trieste. Ecco che ora eravamo in tre su quel marciapiedi su cui gravavano circa due secoli d’età. Ci guardavamo con simpatia negli occhi fattisi un po’ vitrei ed io dimenticai per un momento la mia impazienza.