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vano, quanto la città colorita nella quale a quella distanza l’unico segno di vitalità percettibile era il fumo mobile di alcuni fumaiuoli e camini.


II


L’abitazione di un piano solo in quella che all’esterno pareva una baracca era priva di eleganza ma molto comoda. Dalla porta d’ingresso con poche scale si giungeva ad una vasta anticamera intorno alla quale stavano tre stanze da letto la camera da bagno la cucina e la camera da pranzo. Nell’anticamera ardeva già un’enorme stufa che sarebbe bastata a scaldare tutto l’appartamento. Il signor Giulio saliva le scale con prudenza per non destare i bambini ma dalla stanza a destra fu un vociare lieto che gli ridiede la libertà di movimento. Olga disse che aspettava il babbo da parecchio tempo. Giulio entrò nella stanza e andò a spalancare la finestra. Olga era ben desta e salutò il babbo gettandogli le braccia al collo con un abbandono che benché innocente pur forse preludeva alla futura madre alla futura sposa. Il bambino Nino era stato invece destato dalla luce e si sforzava di tener aperti gli occhi mentre il sonno ancora lo teneva i braccini abbandonati sul guanciale. Al signor Giulio dispiacque di averlo destato e avrebbe volontieri rinchiuso di nuovo la finestra per ridar la pace al piccolo organismo che ancora ne abbisognava. Ma il bambino non poteva ritornare alla pace del sonno. Subito quando capí che il padre voleva rinchiudere le persiane si mise a piangere e la bocca spalancata e gli occhi sonnolenti chiusi piangeva il dolore di essere stato destato o dall’ira che si voleva dormisse ancora. Il signor Giulio andò ad accarezzarlo l’anima piena di sorrisi davanti a tutta quella carne rosea.

Il Nini aveva dato in passato delle preoccupazioni ai genitori; la laguna lo aveva rinvigorito ed era agli occhi del signor Giulio uno dei meriti di quell’acqua che andava e veniva la salute di quel bambino. E tanto lo riconosceva figlio della laguna che scherzosamente lo chiamava “masinetta"1. Finalmente

  1. Dialetto triestino: granchiolino di mare.