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LA MORTE


E

RANO ritornati a casa alle otto di sera dall’aver accompagnato alla stazione i due figliuoli ch’erano partiti per Roma. Il maschio stabilitosi laggiú era venuto a prendere la sorella che la cognata aveva invitata per un lungo soggiorno di tutta la primavera nella capitale. Erano stati dei giorni lieti in compagnia dei due figliuoli in festa per il prossimo viaggio. Ora i due coniugi si trovavano un po’ squilibrati, tanto soli senza quei figliuoli che uniscono e dividono i genitori.

Roberto sentí che la moglie aveva bisogno di conforto. Avevano ora finito di mangiare e Roberto macchinalmente s’era seduto sulla sua poltrona ove passava di solito una mezz’ora col suo giornale. Poi vedendo che la moglie restava seduta al tavolo incerta di quello che avrebbe dovuto fare, lasciata improvvisamente tanto inerte dopo una giornata di lavoro intenso intorno ai bagagli della figliuola e in compagnia dei due giovini, lasciò cadere il giornale sulle ginocchia e la guardò. Ecco che ora la sua compagna aveva bisogno della sua compagnia, per la prima volta dopo tanto tempo. La scoperse invecchiata. I suoi capelli ch’erano stati biondi e che tutti ora vedevano quasi bianchi meno lui che continuava a vederci la luce che c’era stata, era la parte della testa illuminata fortemente dalla lampada in alto meglio rivolta a lui. Quando le parlò essa lo guardò con un mite, debole sorriso. “Molto vecchia” pensò con uno stringimento di cuore, lui ch’era tanto piú vecchio di lei. Anche la faccia bianca dal colore roseo s’era intonata altra volta ai capelli lucenti e neppure ora c’era stonazione perché sotto i capelli bianchi appariva piú conforme la bianca faccia contusa dal tempo, le linee meno pure, il color roseo delle guancie divenuto meno esteso perché illividito fuori che sulle guancie propriamente dette.

Nel suo sforzo di distrarla si fece molto chiacchierino e fu senz’intenzione ch’egli finí col parlare di tutto il loro passato,