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CAPITOLO XV.


Una corsa sfrenata.


I quattro avventurieri e Minnehaha, spinti dalla fame che di momento in momento diventava sempre più acuta, si erano messi quasi a correre lungo quell’eterno cornicione fiancheggiante lo spaventoso cañon che pareva sempre pronto a inghiottirli tutti fra le spumeggianti acque del suo rumoroso torrentaccio.

John, più pratico dei luoghi, guidava il drappello, segnalando, di quando in quando, i passaggi difficili.

Ed infatti di tratto in tratto delle spaccature si presentavano, costringendo i quattro uomini e la giovane indiana a spiccare dei salti, che potevano fare invidia ai montoni di montagna.

Quella corsa pericolosa però non duro molto. Il cornicione ben presto si allargò formando come una successione di piattaforme coperte di nocciuoli selvatici e di piccoli aceri, poi comparvero delle immense distese di salvia e di cactus a bocce, rifugio preferito dei mocasson, serpenti velenosissimi, dalla testa assai schiacciata e molto aggressivi.

La sierra allargava il cañon rapidamente e le terrazze si succedevano con maggior frequenza girando intorno alla miniera sepolta sotto un enorme ammasso di rocce.

Se gli animali mancavano, abbondavano invece i volatili, specialmente galli di monte, pettirossi, uccelli beffatori che si divertono ad imitare il canto degli altri su un tono quasi ironico, grossissimi avvoltoi quasi tutti neri e sempre affamati.

Raggiunta finalmente un’alta piattaforma, gli avventurieri sostarono per assicurarsi, prima di scendere verso la bocca della miniera, se gl’Indiani si erano allontanati o se si aggiravano ancora nei dintorni colla speranza di vederli risalire dal pozzo e scotennarli.

— Pare che si siano stancati di aspettarci, — disse John, dopo d’aver guardato attentamente in tutte le direzioni. — Io non li vedo più.

— Purchè non si siano accampati sotto i boschi, — disse Harry. — Quei vermi sono troppo testardi per rinunciare così facilmente a cinque capigliature.