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PARTE SECONDA | 215 |
questa via, tirando addosso così agl’impiegati milanesi frequenti mortificazioni.
Se alcuno volesse convincermi della vigoria presentanea del governo austriaco, io gli dimanderei se esso ardirebbesi ora di porre alla berlina i più bei nomi della Lombardia, benchè ne sieno ora rivestiti uomini-ragazzi, ben diversi da quelli che li portavano nel 1821. Gli domanderei se la Polizia oserebbe pur solo far ora una perquisizione in uno dei palazzi dell’aristocrazia milanese; e s’egli mi rispondesse di sì, io chiederei qual cagione la trattenga, in tal caso, dal farne laddove essa non ignora esservi ammucchiati ben molti libri e giornali proibiti. Gli chiederei quale sia la fantasima che fa battere di notte tempo la chiama delle truppe austriache, solo per vedere se accorrano e se uomo possa far fondamento sopra di esse in caso di bisogno; che fa minacciare di morte i soldati sbrancati e ingiunger loro di non andare che attruppati; che pone in trambusto la Polizia per l’arrivo di uno straniero, o per un errore d’ortografia che trovisi sul suo passaporto; che fa fare divieto agli Austriaci di bere l’acqua delle fontane; che induce a far loro distribuzioni straordinarie di cartocci da carica, a tenerli chiusi nelle case d’arme, a farli marciare di notte da una città all’altra, e ciò nel mentre che la contrada è tranquilla, che niuno sogna nemmeno di congiurare o di sollevarsi, e che (dirò anzi) ogni sollevazione è considerata dai Lombardi istessi come una mattìa d’impossibile riuscita. Risponderei poscia, che questa fantasima è il terrore d’una coscienza troppo aggravata, d’uno spirito snervato dall’abuso dei mezzi estremi; terrore vano, inesplicabile, e che da noi soli