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PARTE SECONDA 113

me l’aveano spedito a Milano per iscandagliare le disposizioni della popolazione. Il re Luigi, il reggente d’Inghilterra e il duca suddetto non poteano sopportare in pace che questa bella contrada, stata unita per tanto tempo alla Francia, ne fosse ora staccata, non già per godere della propria independenza, ma per subire un giogo straniero. Angosciati erano i loro cuori da un tale spettacolo, ond’è che avevano concepito il pensiero di infrangere le catene di cui era l’Italia gravata. Ora, l’Italia era essa disposta ad accogliere le generose proposte? Era essa impaziente dell’oppressione austriaca? Era essa parata a far qualche sforzo per conseguire l’intento? ad esporsi a qualche pericolo? a tentare alcuna mossa? Ciò desideravasi conoscere.

Io ho già riferito più tristi esempi della credulità italiana, e se invece di ristrignermi a raccontare i fatti avvenuti dopo il 1814 avessi rivangate le cose accadute fin dal primo ingresso in Lombardia degli eserciti repubblicani, ne avrei riportato un numero assai maggiore. Ed ecco una novella congiuntura in cui ebbe quella credulità i più funesti effetti. Al Marchal parve quella una occasione favorevolissima per ravviare le già dismesse fila della congiura. Il medico Rasori andava cotidianamente in casa del Marchal, la cui consorte era ammalata, e il Marchal propose subito al visconte di parlare al Rasori. La proposta essendo stata alacremente accolta, ecco che il falso Saint-Aignan e il Rasori si trovarono insieme. Ricominciò il Savoiardo la patetica sua sposizione del rammarico ond’erano crucciati Luigi XVIII, il reggente e il duca d’Angulemme. Trasse fuori lettere e mandati, da cui egli appariva un inviato plenipotenziario