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che si fussero generati da te. All’ora e fratelli con molte lagrime, che giù da gli occhi cadevano, s’abbracciaro insieme; e in tal maniera s’aquietarono, che per l’avenire non fu mai più parola tra loro: e sì fattamente in tranquilla pace vissero, che li figliuoli e i nepoti dopo la loro morte ricchissimi rimasero.

Piacque molto a tutta la compagnia il compassionevole caso occorso a gli amorevoli fratelli; e fu sì pietoso, che indusse, non che le donne, ma anco gli uomini a piagnere: pensando quanto era stato l’intiero amore che portava Ermacora ad Andolfo suo fratello, e con quanta virtù e umanità egli aveva acquetata l’ostinata mente del fratello, calpistrando della malvagia fortuna le valorose forze. Ma perchè la prudente Signora vedeva gli uomini parimente e le donne rasciugarsi gli occhi per le già sparse lagrime, fece di cenno che ogniuno cessasse di piangere; e impose a Lionora che con l’enimma seguisse: la qual umile e ubidiente così disse.

Quando ben miro in questa parte e in quella,
     Uscir veggio fra noi cose leggiadre.
Vergine essendo ritondetta e snella,
     Divenni madre, e figlia di mio padre.
E con il latte della mia mammella,
     Pascei un figlio sposo di mia madre.
Benigno sangue nobile e ben nato,
     Ch’ora nodrisci chi t’ha generato.

Finito che ebbe Lionora il suo enimma, non poco comendato da tutti, levossi uno in piedi, e fece motto d’intenderlo; ma la sua isposizione fu vara e assai lontana dal vero. Di che Lionora sorrise alquanto; e in tal guisa lo risolse. Era uno innocente vecchio contra giustizia impregionato e a morte condannato.