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ricusava d’andare, e lo seguitava tanto quanto gli era stato imposto, dubitando sempre d’incorrere nella pena della loro convenzione. All’ora sdegnatosi Pandolfo per la dapocaggine e semplicità del servo, gli dichiarò quella parola che li disse, lontano! ch’ella si dovesse intendere per tre piedi. Il servo, che aveva chiaramente inteso il voler del suo patrone, prese un bastone di tre piedi, accostando un capo di quello al suo petto, e l’altro capo alle spalle del patrone; e così lo seguitava. I cittadini e gli artegiani, vedendo questo e pensando che quel servo fusse un pazzo, si scoppiavano da ridere della sua pazzia. Il patrone, che ancora non si avedeva del servo che aveva il bastone in mano, si maravigliava forte che tutti il guardavano e ridevano. Ma poi che conobbe la causa del loro ridere, si sdegnò, e con ira riprese acerbamente il servo e volse anco sconciamente batterlo. Ed egli piangendo e lamentandosi si scusava dicendo: Avete torto, patrone, a volermi battere. Non feci io patto con esso voi? Non ho io ubbedito in tutto ai comandamenti vostri? Quando contrafei al voler vostro? Leggete l’instrumento e poi punitemi, se io mancai in cosa alcuna. E così il servo ogni volta rimaneva vincitore. Un altro giorno il patrone mandò il suo servo al macello per comprar della carne, e parlando ironicamente com’è costume di patroni, gli disse: Va, e sta uno anno a ritornare. Il servo, pur troppo ubidiente al patrone, andò nella patria sua, e ivi stette finchè scorse l’anno. Dopo il primo dì del sequente anno ritornando, portò la carne al patrone; il quale, maravigliandosi, perciò che egli aveva mandato in oblivione ciò che comandato avesse al servo, lo riprendeva grandemente della fuga, dicendogli: Tu sei venuto un poco tardetto, ladro da mille forche. Per Dio, che io ti farò pagar la pena, come tu meriti