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sfinestrata di quella, e disciolse tutti i legami, lasciando la moglie in libertà, e dipose ogni paura; e risanato di tanta e sì grave infermità, pacificamente con la moglie visse: ed ella, liberata dalla dura prigione, lealmente servò la fede al marito.

Già aveva posto fine la graziosa Lionora alla sua dilettevole favola, da tutti non a bastanza comendata, quando la Signora l’impose che con l’arguto enimma l’ordine seguitasse; ed ella, non aspettando altro comandamento, allegramente così disse:

Star vidi una mattina scapigliata
     In terra a gambe aperte una sedendo;
Ed una cosa d’assai larga entrata
     E cava tra le coscie ritraendo,
Godeva, e un’altra a piena man pigliata.
     Bianca, grossa e rotonda, entro mettendo.
Tanto la dimenava e ben premeva,
     Ch’un liquor dolce uscir fuor li faceva.

Questo enimma diede da mormorare agli uomini, e per le molte risa che facevano, le donne poneano il capo in grembo; non però fu alcuno che l’intendesse. Onde la baldanzosa Lionora in tal modo l’espose: Era una villanella che con le treccie sciolte sedeva in terra: e avendo le gambe aperte, tra quelle teneva il mortaio, e con una mano il pestello; e tanto con quello premea le erbe che vi erano dentro, che n’usciva un sugo, col quale ella faceva la salsa. Laudevole fu la dichiarazione del non più inteso enimma, e tutti ad una voce sommamente il comendorono. E poscia che riso ebbero alquanto, la Signora comandò a Lodovica, che alla sua favola desse principio. La quale, non ritrosa ma mansueta, in tal guisa a dire incominciò.