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e caro lo teneva. Avuto dunque l’ugel bel verde, Serena e i fratelli montorono a cavallo, ed a casa contenti si ritornorono. Il re, che sovente passava davanti la casa de’ giovanetti, non vedendogli, assai si maravigliava; ed addimandati gli vicini, che era avenuto di loro, gli fu risposo che non sapevano cosa alcuna, e che era molto tempo che non erano stà veduti. Ora essendo ritornati, non passorono duo giorni, che furono veduti dal re; il quale gli addimandò che era stato di loro, che sì lungo tempo non si avevano lasciati vedere. A cui rispose Acquirino che alcuni strani accidenti, che gli erano occorsi, erano stati la cagione: e se non erano andati da sua maestà, sì come ella voleva ed era il desiderio suo, le chiedevano perdono, e volevano emendare ogni suo fallo. Il re, sentito il loro infortunio, ed avutane compassione grande, non si partì di là, che tutta tre gli volse al palagio a desinare seco. Acquirino, tolta celatamente l’acqua che balla: Fluvio, il pomo che canta, e Serena, l’ugel bel verde, con il re lietamente entrorono nel palagio, e si puosero sedere a mensa. La maligna madre e le invidiose sorelle, vedendo sì bella figliuola e sì leggiadri e politi giovanetti, i cui begli occhi risplendevano come vaghe stelle, ebbero sospetto grande, e passione non picciola sentirono nel cuore. Acquirino, fornito il desinare, disse al re: Noi vogliamo, innanzi che si leva la mensa, far vedere a vostra maestà cose che le piaceranno molto; e presa una tazza d’argento, e postavi dentro l’acqua che balla, sopra la mensa la pose. Fluvio, suo fratello, messa la mano in seno, estrasse il pomo che canta, ed appresso l’acqua lo mise. Serena, che in grembo teneva l’ugel bel verde, non fu tarda a ponerlo sopra la mensa. Quivi il pomo cominciò un soavissimo canto;