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damigella, abbracciarla, basciarla e in sua balìa averla, altro non stringeva, altro non abbracciava nè basciava se non pentole, caldaie, schidoni, scovigli ed altre simili cose che erano per la cucina. Avendo già Carlo saziata la sua sfrenata voglia, ed il vulnerato petto da capo moversi sentendo, corse ancora ad abbracciar le caldaie, non altrimenti che le membra di Teodosia fussero. E sì fattamente il volto e le mani dalla caldaia tinte rimasero, che non Carlo, ma il demonio pareva. In questa guisa adunque avendo Carlo saziato il suo appetito, e parendogli oggimai tempo di partirsi, così di nero tinto scese giù della scala. Ma i duo servi che presso l’uscio facevano la guardia che niuno entrasse o uscisse, veggendolo così contrafatto e divisato in viso, che più di bestia che di umana creatura la sembianza teneva, imaginandosi che il demonio o qualche fantasma egli si fusse, volsero come da cosa mostruosa fuggire. Ma fattisi con miglior animo all’incontro, e guatatolo sottilissimamente nel volto, e vedutolo sì diforme e brutto, di molte bastonate il caricorono, e con le pugna, che di ferro parevano, tutto il viso e le spalle li ruppero, nè li lasciorono in capo capello che bene gli volesse: nè contenti di ciò, lo gittorono a terra, stracciandogli e panni da dosso e dandogli calzi e pugna, quante mai ne puote portare; e tanto spessi erano i calzi che e servi li davano, che mai Carlo non puote aprire la bocca ed intendere la causa per che così crudelmente lo percotevano. Ma pur tanto fece, che uscì delle lor mani: e via se ne fuggì, pensando tuttavia averli dietro le spalle. Carlo adunque essendo da’ suoi servi senza pettine oltra modo carminato, ed avendo per le dure pugna gli occhi sì lividi e gonfi, che quasi non discerneva,