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favola nona 219

cirugi degni e molto approbati nell’arte cirugia. I quali, ben visto e esaminato il luogo della enfiazione, altri dicevano doverglisi sopraporre radici di altea cotte e miscolate con grasso di porco, perchè levarebbono il dolore e la enfiazione; altri altre cose, e altri negavano che far si dovessero alcuno delli rimedii allegati. Tutti finalmente furono d’accordo, che tagliar si dovesse il luogo enfiato per rimover la materia e la causa del dolore. Il che deliberatosi, vennero tutte le monache del monasterio e molte matrone, con alcuni propinqui della graziosa giovane. E uno di detti cirugi, il quale di gran lunga tutti gli altri avanzava, preso il coltello feritorio, percosse leggermente e con gran destrezza in un volger d’occhi il loco enfiato; e perforata la pelle, quando si credeva che di tal buco uscir ne dovesse o sangue, o marza, ne uscí un certo grosso membro, il quale le donne desiderano e di vederlo si schifano. Non posso astenermi dal ridere scrivendo la veritade in luogo di favola. Tutte le monache, stupefatte per tal novità, piangevano da dolore, non per la ferita, nè anco per la infermità della giovane, ma per la lor causa, perciò che elle averebbeno piú tosto voluto che quello che palesamente è occorso, fusse intravenuto occultamente. Imperciò che per onor suo fu subito mandata la giovane fuori del monasterio. Or quanto l’averebbeno carissimamente dentro conservata! Tutti li medici non poteano piú da ridere. E cosí in un tratto la giovane risanata divenne uomo e donna. E referisco per bugia quello che è la verità, chè di poi la vidi con gli occhi miei vestita da uomo con l’uno e l’altro sesso. —