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— Io scommetto uno scojattolo grigio, disse James congedandosi dall’amico suo, che questa medesima sera papà Tim sarà innamorato tanto della mia persona come del mio flauto.

Era una bella sera d’estate un vento impetuoso aveva sgomberato dalla volta del cielo una massa di neri nuvoloni, addensandoli intorno al sole morente in lontana prospettiva. Le goccie d’acqua brillavano sulla punta delle foglie, e i merli ed i pettirossi confondevano i loro canti, ed una dolce armonia correa per l’aria nella verdeggiante valletta di Newbury.

L’anima di James in questo momento, cedeva alla forza di quella specie di poesia che consiste nel sentimento d’un benessere inesprimibile: l’immagine della bruna casa e de’ suoi ospiti era incessantemente davanti a’ suoi occhi. Egli lasciava qualche volta la strada maestra rivolgendosi a destra per superare una siepe e vedere in seguito se la pioggia non aveva gonfiato il ruscelletto ove aveva costume di prendere delle trotte; quindi si dirigeva a manca per assicurarsi se i poponi d’acqua del signor tale o del tal altro si avanzavano a maturità, poichè James provava il bisogno di interessarsi negli affari altrui almeno quanto ai propri.

Dopo tutte queste diverse evoluzioni, egli arrivò al ricinto che marcava il cominciamento dei dominj di papà Tim. Egli fece alto, gettando gli occhi attorno. Dal canto loro quattro o cinque montoni, riguardando da tutte le parti, s’avvidero che un piccone non abbastanza cacciato entro terra lasciava una piccola porta semi-aperta e senza tanti complimenti entrarono.

Tutta l’attenzione di James si diresse allora sui