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neppure un tappeto; in un angolo avvi un letto, con coperta di squisita candidezza, ed assestato con gran cura. In un’altro angolo un cantonale sormontato da piatti e stoviglie. A dritta un’armadio, e dirimpetto innanzi la finestra, un tavolino in acajù, tutto nuovo che ha l’aria d’un’intruso in mezzo ai vecchi mobili che gli stanno d’attorno.

È in quel modesto soggiorno che ritroverete una donna di circa quaranta anni, che porta impresso sul pallido viso le rughe cagionate dalle fatiche e dalle cure. Sta alquanto abbandonata ad uno schenale d’un seggiolone, chiusi gli occhi e strette le labbra quasi in atto di dolore. Dopo essersi dimenata alquanto, reca la mano agli occhi, e riprende un bel lavoro d’ago a cui attende fin dalla mattina.

S’apre l’uscio, ed una ragazzina, di tredici anni appena, entra in stanza. Gli occhi le brillano di gioja recando alla madre un bel vaso di rose.

“Guarda, mamma, guarda! grida la fanciulla. Ecco una rosa completamente fiorita: altre due le vengon dietro, e poi un moltitudine di gemme che cominciano a sbucciare dalle loro foglie verdi.„

L’aspetto della povera donna brillò, dapprima gittando uno sguardo sulla rosa, poi un’altro sulla sua povera figlia sofferente, che da un mese non aveva mai avuto in viso i colori, che allora vi sfolgoreggiavano.

“Che Dio la benedica! sclama involontariamente.

— Oh sì! che Dio benedica la signora Fiorenza! disse la ragazza; io ben sapeva che saresti stata sensibile a questo dono, buona mamma. Non ti senti forse allieviata dal tuo dolore al capo nel mirare questo su-