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franco e gioviale. Insomma la persona e l’aspetto di James incontrarono assai, specialmente presso le signore. È ben vero che il giovinotto aveva la migliore opinione di sè stesso, ben convinto di poter acquistare le più estese cognizioni, e trarre a buon fine le più difficili imprese. Questa giovanile presunzione comunicava a tutta la sua persona un’aria di gioia trionfante; gli cattivava insensibilmente la simpatia e faceva che si dividessero involontariamente le sue speranze, e levandosi al punto di vista di questa esuberante organizzazione. Si potrà tacciare il nostro eroe di presunzione. Pure ammettiamo che sianvi due specie di presunzione: l’una che ricrea, l’altra che irrita. La sua apparteneva alla prima specie. In fondo non era che l’esuberanza d’un umore troppo leggero, che le seducenti prospettive offertegli dalla sua immaginazione tanto a riguardo degli altri come riguardo di sè medesimo, facevan traboccare dai limiti. Se si dilungava con compiacenza sulle sue lodi personali, non si mostrava perciò schivo di pagare un tributo d’elogi agli atti ed alle parole d’un estraneo, norma della piega che assumeva la conversazione. È però vero, che come i meriti suoi propri gli eran più conosciuti di quelli degli altri, la parte più abbondante di quella distribuzione d’incenso, era la sua.

Quando James giunse in Newbury non aveva che diciott’anni, per cui sarebbe stato difficile il precisare se partecipasse piuttosto dell’uomo, o del giovinetto. In seguito all’idea preoccupante di dover esser un giorno qualche cosa in questo mondo, abbandonato il tetto paterno, avendo dapprima involti tutti i suoi effetti in un fazzoletto di coton bleu poi, in traccia di