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o quarto; ma nè dei Corradi nè di Lottario II non ne ho; nè alcuno ne ha pubblicate; e perciò sembra verosimile che da molti anni la zecca di Milano fosse oziosa; appunto perchè la nuova Repubblica non osasse di sottrarsi interamente da ogni protezione dell’Impero coll’omettere il nome augusto nel conio, e nemmeno volesse espressamente confermarsi dipendente col riporvelo. Conservo bensì alcune monete dell’imperatore Federico coniate in Milano, e sono pubblicate in più opere. Così quel sovrano, richiamando a sè la moneta, ravvivò anche nel conio la soggezione dalla quale ci eravamo col favore dei tempi sottratti.

Poichè fu sottomessa Milano, l’imperatore radunò una dieta in Roncaglia. Ivi, ricorrendo molti per farvi giudicare le liti, quell’Augusto, se crediamo a Radevico, diceva: Mirari se prudentiam Latinorum, qui cum praecipue de scientia legum glorientur, maxime legum invenirentur transgressores; quumque sint tenaces justitiae sectatores, in tot esurientibus et sitientibus injustitiam evidenter apparere. Se quell’Augusto avesse riflettuto che lo studio delle leggi si fa per acquistare onori e lucro, e che questo desiderio non esclude i vizii dell’animo; che il raffinamento medesimo nell’interpretare le leggi debb’essere una fecondissima sorgente di litigi; che in una nazione ricca ed ingegnosa vi debbon essere più controversie che in una più povera e indolente; non avrebbe parlato con derisione degl’Italiani, perchè, studiando molto le leggi di Giustiniano, erano in molte liti imbarazzati. Cesare, Ottaviano Augusto e gli altri Romani non deridevano i vinti. Il grande Ottone si mostrò pure abitatore del mondo, come lo sono le