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strate nel muro, come anche l’intiera fabbrica, sono fatte di pietre tagliate a forma di conio. Le colonne di marmo pentelico del tempio di Giove Capitolino, che l’imperator Domiziano fece lavorare in Atene, e poi rilavorare in Roma1, erano più grandi di quante altre colonne di marmo, e di granito siano rimaste a’ tempi nostri; poichè Pirro Ligorio, il quale ne avea veduti dei frammenti, dice nelle sue Antichità, che manoscritte si conservano nella biblioteca Vaticana, che il loro diametro era di dieci piedi; di modo che aver doveano per lo meno ottanta piedi di altezza, come questo stesso scrittore osserva2.


§. 37. Io


  1. Plutarch. in Poplic. op. Tom. I. p. 105. princ. [ Vedi qui avanti Tom. iI. pag. 365.
  2. Ligorio nel libro 18. delle sue Antichità, esistenti in detta biblioteca fra i codici ottoboniani, num. 3376 alla parola Tempio, p. 57. tergo, non dice altro, se non che le colonne di que1 tempio di marmo pentelico aveano nove palmi nell’imo scapo. Egli non dà veruna prova di ciò. A me pare incredibile, che colonne tanto grosse potessero servire per quel tempio. Per lo che è il osservarsi, che quando fu riedificato ai tempi di Vespasiano, per risposta degli aruspici non si potè accrescerlo in grandezza, ma soltanto farlo più alto, secondo che narra Tacito Histor. l. 4. c. 53. Lo stesso vi sarà stato praticato poco dopo, quando fu di bel nuovo rifatto da Domiziano: e forse per questa ragione di doversi mantenere l’antica pianta di esso, si saranno dovute rilavorare, e assottigliare quelle colonne di marmo pentelico venute da Atene. È affatto insussistente l’opinione del Nardini Roma ant. lib 5. cap. 15. reg. VIII. pag. 267., del Padre Minutolo Dissert. 5. de Templis, sect. 2. in supplem. Antiq. Rom. Sallengre, Tom. I. col. 124., e di altri, i quali credono, che queste colonne siano le stesse, che ora si vedono nella chiesa d’Araceli; imperocchè, come nota il P. Casimiro nella Storia di essa, cap. 6. pag. 238., queste sono colonne tutte ineguali e per altera, e per grossezza; e oltracciò alcune sono di granito bianco, altre di rosso, di cipollino, paonazzetto, e d’altra pietra. Ma poi il P. Casimiro mostra di non aver letto Plutarco, aggiugnendo, che egli non dica a qual uso, e per qual fabbrica servissero quelle colonne di pentelico fatte venire da Domiziano.
    Colonne più grandi di quelle nominate dal Ligorio sarebbero queste, che lo stesso Padre Minutolo Dissert. 7. de ædific. judic. loc. cit. col. 159. dice scavate a suo tempo (cioè dopo la metà dello scorso secolo) nel monistero di s. Eufemia (per errore dice s. Susanna), vicino alla colonna Trajana, di tale grandezza, che quasi agguagliavano questa colonna Trajana. Tale racconto è esagerato, se quelle colonne appartenevano al Foro di Trajano, ed erano compagne di quella di granito trovata nella parte opposta di quel monistero l’anno 1766., come riferisce Winkelmann nel Tom. iI. pag. 372., e Orlandi nelle note al Nardini lib. 5. cap 9. pag. 235. n. a., la quale aveva soli otto palmi e mezzo di diametro, ed è compagna di altre che si vedono nelle cantine di quel contorno. Il nostro Autore in una lettera al signor barone Riedesel del 9. novembre 1763. par I. p. 326., dice trovata poco prima per la strada d’Albano una colonna di granito sì grossa, che appena quattr’uomini potevano abbracciarla; e un’altra simile scoperta nei fondamenti del palazzo Santa Croce in Roma, che vi si lasciò sepolta per l’enorme sua grandezza. Se ne sono trovate delle altre grandissime nello scavare per fondamenti di case, e per la stessa ragione non sono state estrarre. Da Anastasio nella vita di s. Ilaro, sect. 69. Tom. I. pag 76., si nominano certe colonne, che erano a un triportico vicino a s. Croce in Gerusalemme, chiamate hecaton penta (o peda), di cento piedi; ma forse erano così dette enfaticamente per denotare col numero cento non una precisa grandezza, ma una grandezza straordinaria, e sterminata, come vi nota Bianchini Tom. iiI. pag. 167., il quale peraltro equivoca nel dirle di porfido, confondendole con altre nominate dopo dallo