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Ἄλσος μὲν Μούσαις ἱερόν
λέγε τοῦτ᾽ ἀνακεῖσθαι,
Τὰς βύβλους δείξας τὰς παρὰ
ταῖς πλατάνοις.
Ἡμὰς δέ φρουρεῖν, κᾄν γνήσι-
ος ἐνθάδ᾽ ἐραστής
Ἔλθῃ τῷ κισσῷ τοῦτον ἀνα-
στέφομεν


Dedicato alle Muse dì pur ch’è questo bosco,
Additando i volumi, che sono presso i platani:
Che noi li custodiamo; e se genuino amante
Quà capitasse, questo noi coroniamo d’ellera1


Poco


  1. Questa iscrizione è stata già pubblicata da varj, come deve esser noto; ed ora si conserva nella stanza de’ codici mss. dell eminentissimo signor card. de Zelada. [ Il nostro Autore l’ha ripetuta nella citata lettera al signor Fuessli dell’edizione tedesca pag. 47., e l’abate Bracci Mem. degli ant. incis. Tom. I. Tav. 11. pag. 66. scorrettamente. Il carattere di essa è a un di presso come quello degli scritti di Filodemo, di cui li è parlato qui avanti pag. 191. segg., ed io nell’esattamente rincontrare l’iscrizione ho procurato di farli qui imitare per quanto era possibile almeno in quelle lettere di forma più particolare. Riguardo all’allusione, credo che fosse scritto l’epigramma sul petto di un Genio, per indurlo a parlar così come custode di un plataneto, o boschetto di platani, i quali erano dedicati ai Genj. All’ombra di questo plataneto si faranno forse adunati dei poeti a recitare composizioni, come usasi oggidì in Roma nel bosco Parrasio dell’Arcadia, alla cui porta darebbe ottimamente questa iscrizione; e per tal ragione lì dice consecrato alle Muse. I platani non per altro erano tanto stimati dagli antichi se non se per la grand’ombra, che fanno colle loro ben regolate, e copiose frondi; e perciò si piantavano nelle ville, e nei luoghi di passeggio, coltivandoli con tanta diligenza da inaffiarli sin col vino, che molto giovava alle loro radici. Plinio lib. 12. cap. 1. sect. 3. segg. ne parla diffusamente, e nota, che Dionisio tiranno di Sicilia li fece il primo trasportar in Reggio, e piantarli nel suo giardino per fare all’ombra di essi un ginnasio, o palestra; e lo stesso era stato fatto nell’Accademia d’Atene, ove i filosofi platonici passeggiavano, e disputavano sotto di essi. I viaggiatori trovavano refrigerio all’ombra di questa pianta, e vi si divertivano le fanciulle, come scrive Temistio Orat. 27. pag. 339; e i poeti fingevano, che vi si trastullassero i Fauni, le Driadi, il dio Pan, i Lari, ec., come leggiadramente cantò Marziale del tanto famoso platano di Cesare a Cordova nella Spagna, Epigr. lib 9. ep. 46. edit. Raderi, e più diffusamente Stazio Sylv. lib. 2. cap. 3. del platano di Atedio Meliore. Vedasi anche Brodeo nel commentario a Teofrasto Histor. plant. lib. 4. cap. 7. pag. 405. segg. Eliano Var. histor. lib. 2. cap. 14. deride Serse, il quale nella Lidia vedendo un gran platano ne fu talmente rapito, che non solo vi stette una giornata accampato intorno; ma nel partire l’ornò ai rami di collare, armille, e fasce preziose; e vi lasciò uno, che ne avesse tutta la cura, come se fosse stata una sua amasia. Lo stesso gusto, e trasporto per questa pianta forestiera si aveva anche dai Romani in Italia. Plinio al luogo citato parla con maraviglia del platano dell’imperator Cajo nella sua villa posta nella campagna di Velletri, sui rami del quale disposti naturalmente quasi a modo di tavola, e di scabelli vi cenavano quindici persone; e nomina il plataneto del prepotente liberto Marcello Esernino al tempo di Claudio nel suburbano di Roma. Ortensio aveva platani nella sua villa sul Tuscolo, e partivasi espressamente da Roma per andarli ad inaffiar col vino, come abbiamo da Macrobio Saturn. lib. 2. cap. 9. ?