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296 Storia delle Arti

do a tal effetto formata una gran fabbrica dell’antico palagio dei re, ove per otto mesi intieri occupati furono tutti gli artisti, altri a disegnar de’ vasi, altri a gettarli e cisellarli; e in quelli non altra materia vi s’impiegava che l’oro.

[...ov’ebbe poi l’ultimo crollo dalla guerra mitridatica.] §. 31. La tranquillità, di cui per alcuni anni goduto aveano in Grecia le arti, fu nuovamente turbata dalla guerra mitridatica, in cui Atene alleata ai re di Ponto si sollevò contro i Romani. Delle molte isole a cui quella città dominato avea nel mare egeo, non altra era loro rimasta, che la piccola isola di Delo, e quella pure erasene pocanzi sottratta, ma a loro nuovamente assoggettata l’aveva Archelao, generale di Mitridate1. Agitavanla grandemente i diversi partiti, in mezzo ai quali Aristione, filosofo epicureo, tentò d’impadronirsene; e vi riuscì, sostenendo l’usurpato dominio con forze straniere, e facendo perire i cittadini più propensi a Roma2. Essendo per tanto al principio della mentovata guerra Archelao assediato da Siila in Atene, quella città trovossi in una necessità estrema; e tanta era la mancanza


de’

    forse un’esagerazione oratoria. Che che ne sia, egli è certo che, fra le più belle statue siracusane possedute da Verre, vedevasi quella di Giove, da’ Greci chiamato Οὔρεος ossia dispensator del buon vento, statua da lui tolta a que’ cittadini, insieme alle due statue d’Aristeo e di Peano, de’ quali il primo venerato era dai medesimi nel tempio di Bacco, e ’l secondo in quello d’Esculapio. Preda fatta nel loro Pritaneo era similmente una bella Saffo di bronzo del celebre statuario Silanione. Dal tempio di Minerva della stessa città non solamente fece egli trasportare nella sua galleria ventisette ritratti di altrettanti re o tiranni della Sicilia, ma volle pur adattarvi le porte stesse del tempio, delle quali non si videro mai le più belle, come osserva anche il nostro storico qui avanti pag. 276. princ. Oltre la Sicilia, molte altre provincie e città hanno contribuito ad accrescere ed abbellire la galleria di Verre, come Scio, Samo, Perge, e tutta la Grecia. Tenedo in ispecie gli somministrò la statua di Tene suo dio tutelare, Atene due canefore di bronzo lavorate dal celebre Policleto, Aspenda un suonator di lira, tra tutte le statue, la più cara a Verre, che agli amici suoi soltanto più intimi lasciava vedere. Varietà ed ornamento accrescevano alla stessa galleria le molte corazze, i cimieri, le coppe, le urne, e i vasi, tutte cose per la materia, ma più per la finezza del lavoro pregevolissime. Fra tutte però faceasi distinguere l’idria di Boero cartaginese [ nominato da Winkelmann nel Tomo I. pag. 148. §. 7., e detto autore di due statue in due iscrizioni presso il Muratori Nov. thes. inscr. Tom. iI. pag. 966. n. 7. 8., il quale a torto lo prende per Sejoboeto, come osservano il marchese Maffei Art. crit. lapid. lib. 3. c. 1. can. 5. col. 110., e Bimardla Bastie nelle Osservazioni al detto Tesoro del Muratori inserite in appendice a quest’opera di Maffei col. 500. ], e quel candelabro e gemmis opere mirabili perfectum chiesto da Verre in prestito, né mai più restituito, cui due gran principi dell’Oriente destinato aveano in dono al tempio di Giove Capitolino.

  1. Appian. De bell. mithrid. pag. 188. in fine.
  2. ib. pag. 189. A. [ Pausania lib. 1. c. 20. pag. 47. e 48., Costantin. Porfirogeneta Excerpta Dionis Cocc. pag. 648.