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§. 21. Dall’unità nasce un’altra proprietà del bello sublime, cioè la sua indeterminazione: e beltà indeterminata io chiamo quella, che altre linee non ha né altri punti fuorché que’ soli che servono ad effigiare la bellezza; onde un volto, in cui questa esprimer si voglia, non dev’essere il volto d’alcuna determinata persona, né dee lo stato dell’animo o ’l sentimento delle passioni esprimere, poiché framischierebbonsi allora nella bellezza de’ tratti ad essa stranieri e s’interromperebbe l’unità. Quindi la beltà dev’esser come l’acqua la più perfetta attinta ad una sorgente, la quale tanto più salubre vien giudicata, quanto meno ha sapore, ossia quanto più purgata è dai corpi eterogenei. E siccome la miglior felicità (cioè la privazion dei dolore, e ’l godimento del piacere) nello stato naturale è quella che è più facile a conseguirsi per mezzi i più semplici, senza fatica e senza dispendio; così semplicissima esser deve e facilissima l’idea della bellezza sublime, per formarsi la quale necessaria non sia una cognizione filosofica dell’uomo, né v’abbisognino ricerche sulle passioni dell’animo e sull’espression loro1.


§. 22. Ma


  1. Moltissimi sono gli autori, che hanno scritto da metafisici intorno alla bellezza. Passandoli sotto silenzio, aggiugnerò soltanto, secondo che ne scrive il più volte lodato Faletti Del Gius naturale-divino, Par. I. capo V. § I. n. VIII, nella nota n. 9. seg., che il bello per l’uomo nasce da quell’oggetto, il quale considerato dall’uomo stesso ne’ giudizj suoi, per la maggior parte taciti, e sottointesi, porta 1. una totalità di parti somiglianti al medesimo uomo, o per analogia, siccome parlano i Logici (e quello vedesi esempigrazia nella pianta), o per equivocazione (e ciò si osserva nella bestia), o per univocazione, e ciò si ammira negli altri individui della specie umana. 2. Una distribuzione di coteste parti fatta così equabilmente, che una parte sopra delle altre per troppa vivacità o di mole, o di colore, non attragga, e non occupi l’attenzione dello spettatore più di quello, che naturalmente lo deve occupare, in modo che quest’attenzione possa rimanere per un dato intervallo equabilmente diffusa, per cosi dire, su la totalità dell’oggetto medesimo. La somiglianza di univocazione per la similitudine della specie umana, quanto è da se, vince nell’animo dell’uomo tutte le altre, e forma per lui la ragione del bello migliore. Cresce questa ragione di bello in quello genere quando alla somiglianza della specie si unisce la dissomiglianza d’una classe diversa di questa specie, quale si è quella della diversità del sesso. Cresce qui infatti il cumulo, per così dire, de’ giudizj taciti dell’anima sopra la maggiore, o minore confidenza, e varietà nella disposizione e vivacità delle parti, sopra i rapporti di reciproca esigenza più o meno vivi, più o meno soddisfacenti di questa medesima, qualunque si voglia dire, esigenza. Ma perché poi s’intrecciano nell’anima dell’uno, e dell’altro uomo spesse volte de’ taciti giudizj, e per conseguenza delle segrete inclinazioni, per le quali trovasi disposto l’animo a fissarsi in su dell’una più che in su dell’altra parte, non ostante che la totalità dell’oggetto sia nelle sue parti equabilmente distribuita; ovvero in su di uno più che in su dell’altro rap-