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tezione di cortigiani di tentarli per altri con abbietto patronato. La nobiltà piemontese ne scapitò nell’opinione universale, e benchè nella maggior parte abborrente da simili concessioni, pur nondimeno il biasimo e la sfiducia del pubblico gliene fece subire amaramente gli effetti. L’indignazione de’ sudditi, malgrado le arti adoperate per nascondergliela, non isfuggì del tutto a Vittorio Emanuele. Il di lui cuore era giusto, e volendo ormai porre un argine a quel torrente d’ingiustizie, emanò reale decreto, con cui interdiceva per lo avvenire, alla sua propria autorità qualunque intervento nelle transazioni dei privati. La nazione se ne mostrò riconoscerne; ma dovrò io dirlo? troverò chi mi presti fede? Certo non l’oserei sperare, se migliaia di miei concittadini non potessero farmene testimonianza; dopo un atto così solenne di regia autorità, nuove private patenti derogarono alla pubblica, ed apportarono nuove ambascie a numerose famiglie: debolezza per parte del re incomprensibile, ove non si aggiungesse, che parecchi vecchi magistrati, ahi troppo sventuratamente ascoltati! aveano disapprovato che il re fissasse dei limiti alla pienezza del suo potere e l’atto il più giusto fu chiamato pericolosa innovazione.

Nel mentre le prerogative reali erano in tal modo intese dai magistrati, il ministro di polizia dal suo canto non lasciava d’intenderle in un modo di sommo aggravio allo stato e di pregiudizio ai cittadini. La possanza del re, egli vedea tutta riposta nei carabinieri, dei quali ne avea formato con grave dispendio la particolare milizia; ma educati ad uno spirito