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Sentiamo ora dal maresciallo Vaillant come fu presentato questo indirizzo, e quale impressione produsse al campo francese. Egli dice così:

«Verso le otto ore del mattino (25 di giugno) un officiale superiore romano si presentò davanti le trincee del bastione 7, siccome parlamentario, recando al generale in capo una protesta di parecchi consoli stranieri contro il preteso bombardamento di Roma. Si capì subito che egli non cercava che di riconoscere lo stato de’ nostri lavori: si ritenne la lettera e licenziossi l’officiale immediatamente.»1

Il complesso di questi fatti ci fa conoscere che il municipio romano prese le mosse per dare corso a un indirizzo il cui scopo era quello di scemare ai Francesi gli spedienti dell’assedio. Il municipio però, ove direttamente avesse reclamato, non avrebbe ottenuto ascolto. Si rivolse allora al console inglese Freeborn, le cui morbidezze verso i repubblicani eran piuttosto palesi, e palese pur anco la sua facilità nell’accogliere esagerate o false informazioni, di che dette prova allorquando scriveva al suo superiore lord Palmerston che in Roma oltre la linea e la civica, eranvi quarantamila Romani armati di picche e coltelli.2

Il Freeborn pertanto che in quel tempo figurava qual maestro di cappella del concerto consolare, convocò i suoi colleghi, scrisse la nota, e la fece a tutti sottoscrivere: e siccome lo scopo era umanitario e civile, non vi fu al certo chi si ricusasse dallo associatisi.

Ma i tempi eran tali che non potevan prendersi le cose pel sottile, nè verificare se e fino a qual numero fosser caduti i proiettili, se e fino a qual misura fossero risultati i danni. L’indirizzo si sottoscrisse e fecer bene; ma noi domanderemo ora quale fu fra i templi, quale fra i palagi dei magnati, quale l’oggetto di arte che venisse danneggiato o distrutto?


  1. Vedi Vaillant, pag. 110.
  2. Vedi Correspondence respecting the affairs of Rome, 1849, pag. 35.