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negare che sia stato sempre vezzo dei Romani, anche nei tempi più tranquilli, quando meno pensavasi a rivolture, di scrivere componimenti satirici sia in verso, sia in prosa a forma di dialogo, ponendo in iscena Pasquino e Marforio, come interlocutori mordaci.

Ma le satire lanciate in occasione della morte di Gregorio XVI erano così acri e virulente che ben davano a conoscere non essere uscite da bocca o da penna romana, perchè contrarie troppo alla loro indole mite e burlesca. L’andazzo però di quel tempo voleva che si pubblicasse come sentimento comune dei Romani quel ch’era sfogo di malvagità non romana.

Era Gregorio XVI accorto e circospetto, ed ammaestrato inoltre dalle passate vicende, poco si mostrava tenero dei liberali, e poco o nulla credeva alle loro proteste di conversioni e ravvedimenti.

Un muro di bronzo aveva eretto fra i liberali ed il papato, e questo muro di bronzo non volle mai atterrare. Avversava qualsivoglia politica riforma, si opponeva gagliardamente all’attuazione delle vie ferrate, e non propendeva pei Congressi scientifici, siccome colui che ben sapeva esserne la scienza un pretesto, la politica il reale motore.

Eran sempre presenti al suo vigile sguardo i moti del 1831 i quali non furono una verace espressione della volontà dei popoli rispetto al sovrano, imperocchè la rivoluzione scoppiò nelle Romagne appena creato il novello papa, quando cioè non conoscendosi ancora il suo metodo di governare non potevano per conseguente le sue azioni riscuotere plauso o disapprovazione dai suoi sudditi.

Non è a dire neppure che fosse provocata dal suo antecessore, imperocchè la mitezza e la tolleranza del pontefice Pio VIII, ed il prospero stato delle finanze di quel tempo tutt’altro dovevano ingenerare che politiche rivolture.

Dal che consegue che la rivoluzione scoppiò per opera dei cospiratori di Francia, di concerto coi capi del movimento italiano, e venne incoraggiata dalle bugiarde