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Il giorno seguente al medesimo fu dal Santo Padre emanata la enciclica che comincia: Qui plurimis jam abhinc annis colla quale annunziava a tutti i patriarchi, primati, arcivescovi, vescovi ec, di essere succeduto a Gregorio XVI, disapprovava e condannava le massime che si diffondevano contro la divina autorità, e contro le leggi della chiesa, aventi per iscopo di conculcare i diritti della sacra e civile potestà della medesima. Disapprovava le sètte, le società bibliche, e condannava i libri che tendono a corrompere il dogma e la morale, nonchè le dottrine comunistiche, le quali minacciavano di sconvolgere la umana società. Raccomandava inoltre d’impedire la diffusione di cattivi libri, e di tenerne lontano il popolo fedele, servendosi dell’espressione: eumque a pestiferis libris diligenter avertere.

Questa enciclica, il cui linguaggio è consonante a quello che tennero i passati, e che terranno i futuri pontefici, eccitò la disapprovazione acrimoniosa del Ranalli, il quale chiamollo eminentemente acerbo, concludendo con queste parole. «Bisogna dire che se Pio IX aveva le migliori intenzioni di riescire un buon principe, non intendeva di essere papa diverso da quanti lo avevano preceduto.»1

Noi troviamo che dice benissimo il Ranalli quando annuncia la magnifica scoperta che il papa Pio IX non volesse essere dissimile in fatto di principî e di dogma dai pontefici suoi antecessori, colla differenza però, che mentre il Ranalli se ne conturba e rattrista, tutti i buoni cattolici se ne allietarono e se ne allietano ancora.

E che? doveva forse il papa, perchè come sovrano emporale aveva meditato qualche utile riforma o miglioramento negli stati della Chiesa, alterare anche le forme, linguaggio, ed i principî del supremo suo magistero?

La diatriba pertanto del Ranalli si converte in un

  1. Vedi Ranalli, Storia degli avvenimenti d’Italia. Vol. I, pag. 76 ediz. di Firenze del 1848 in-4.