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Dell’altro è il verso celebre:

O fossi tu men bella, o almen più forte!

Ma l’Italia era per loro un sentimento così superficiale, come la religione, un tema a sonetti, e canzoni, come le Vendemmie, o le lodi di Cristina. Quando il Filicaia domanda all’Italia, dov’è il suo braccio, e perchè si serve dell’altrui, e ricorda che gli stranieri sono tutti nemici nostri, e furono nostri servi, senti ch’è a mille miglia lontano dalla realtà, che vagheggia un’Italia di tradizione e di reminiscenza, di cui non è più vestigio neppure nella sua coscienza, ch’egli medesimo non prende sul serio le sue maraviglie e i suoi furori, e che le sue parole sono ebollizioni e ciance rettoriche. I contemporanei erano pure fatti così; e ammiravano quel bel sonetto tirato giù con un solo impeto tra mille splendori di una calda immaginazione, come ammiravano una bella predica, salvo a far tutto il contrario di quello che diceva il vangelo e il predicatore.

Questa è la vita morale, religiosa e nazionale italiana a quel tempo: un mondo tradizionale tornato in moda, favorito dagl’interessi, mantenuto nelle sue apparenze, rimbombante nelle frasi, non sentito, non meditato, non ventilato e rinnovato, non contrastato e non difeso, non realtà e non idealità, cioè a dire non praticato nella vita, e non scopo o tendenza della vita. Il tarlo della società era l’ozio dello spirito, un’assoluta indifferenza sotto quelle forme abituali religiose ed etiche, le quali, appunto perchè mere forme o apparenze, erano pompose e teatrali. La passività dello spirito, naturale conseguenza di una teocrazia autoritaria, sospettosa di ogni discussione, e di una vita interiore esaurita e impaludata, teneva l’Italia estranea a tutto quel gran movimento d’idee e di cose da cui uscivano le giovani nazioni di Europa;