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danti comentatori di Seneca, i quali, dopo di aver passata la lor vita nell’assassinare i morti, non sono contenti se non quando crocifiggono i vivi. Sì, monsignore, egli è il pedantismo, che ha avvelenato i Medici; è il pedantismo che ha ucciso il duca Alessandro; è il pedantismo che ha prodotto tutt’i mali di questo mondo; è desso che per la bocca del pedante Lutero ha provocata l’eresia e l’ha armata contro la nostra santa fede. Lorenzino si fe’ assassino per pedanteria, e per pedanteria si fe’ eretico Lutero, cioè a dire operarono per preconcetti, secondo i libri e senza nessuna intelligenza de’ tempi loro.» Non è meno implacabile verso il pedantismo letterario. Al Dolce scrive: «Andate pur per le vie che al vostro studio mostra la natura. Il Petrarca e il Boccaccio sono imitati da chi esprime i concetti suoi con la dolcezza e con la leggiadria, con cui dolcemente e leggiadramente essi andarono esprimendo i loro, e non da chi gli saccheggia, non pur de’ quinci, de’ quindi, de’ soventi, e degli snelli, ma de’ versi interi. Il pedante che voglia imitare, rimoreggia dell’imitazione, e mentre ne schiamazza negli scartabelli, la trasfigura in locuzione, ricamandola con parole tisiche in regola. O turba errante, io ti dico e ridico, che la poesia è un ghiribizzo della natura nelle sue allegrezze, il qual si sta nel furor proprio, e mancandone il cantar poetico diventa un cimbalo senza sonagli e un campanile senza campane, per la qual cosa chi vuol comporre e non trae cotal grazia dalle fasce è un zugo infreddato. Imparate ciò che io favello da quel savio pittore, il quale, nel mostrare a colui che il domandò, chi egli imitava, una brigata di uomini col dito, volle inferire che dal vivo e dal vero toglieva gli esempi, come gli tolgo io parlando e scrivendo. La natura di cui son secretario mi detta ciò che io compongo. È certo ch’io imito me stesso, perchè la natura è una compagnona badiale, e l’arte una piattola