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avete qualche merito, una certa grazia di stile angelico e di armonia celeste, che risuona gradevolmente negl’inni, nelle odi, e negli epitalamii. Ma tutte queste dolcitudini non convengono alle Epistole, che hanno d’uopo di espressione e di rilievo, non di miniatura e d’artifizio. È colpa del vostro gusto che preferisce il profumo dei fiori al sapore de’ frutti. Ma non sapete chi son io? Non sapete quante lettere ho pubblicate, che sonosi trovate maravigliose? Io non mi starò qui a fare il mio elogio, il quale finalmente non sarebbe che verità. Non vi dirò che gli uomini di merito dovrebbero riguardare siccome un giorno memorabile il dì della mia nascita: io che, senza seguire e senza servir le corti, ho costretto tutto quanto vi ha di grande sulla terra, duchi, principi e monarchi, a diventar tributarii del mio ingegno! Per quanto è lungo e largo il mondo, la fama non si occupa che di me. Nella Persia e nell’India trovasi il mio ritratto e vi è stimato il mio nome. Finalmente io vi saluto, e statevi ben certo, che se molte persone biasimano il vostro modo di scrivere, ciò non è per invidia; e se qualche altre lo lodano, egli è per compassione.» Tale si teneva e tale lo teneva il mondo. Fu creduto un grand’uomo sulla sua fede. Non mirava alla gloria; dell’avvenire se ne infischiava; voleva il presente. E l’ebbe, più che nessun mortale. Medaglie, corone, titoli, pensioni, gratificazioni, stoffe d’oro e d’argento, catene e anella d’oro, statue e dipinti, vasi e gemme preziose, tutto ebbe che la cupidità di un uomo potesse ottenere. Giulio III lo nominò cavaliere di San Pietro. E per poco non fu fatto cardinale. Avea di sole pensioni ottocento venti scudi. Di gratificazioni ebbe in diciotto anni venticinquemila scudi. Spese durante la sua vita più di un milione di franchi. Gli vennero regali fino dal corsaro Barbarossa e dal Sultano Solimano. La sua casa principesca è affollata di artisti, donne, preti, musici,