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nimenti e personaggi pullulano sotto la sua penna; certo non è tutta cosa sua; raccoglie di qua e di là; trova innanzi a sè un immenso materiale agglomerato da’ secoli: ma quella materia la fa sua, scegliendo, combinando, padroneggiandola. Il suo intento, direi quasi la sua vanità, è di sorprendere gli uditori con la ricchezza e varietà de’ suoi intrecci, menandoseli appresso tra le più strane avventure. Ma al Bojardo mancano tutte le grandi qualità dell’artista, e soprattutto quelle due che sono essenziali alla rappresentazione di questo mondo, la immaginazione e lo spirito. Ben tenta talora lo scherzo; ma rimane un tentativo abortito: non ha brio, non facilità, non grazia. Gli manca lo spirito e gli manca ancora quell’alta immaginazione artistica che si chiama fantasia. Vede chiaro; disegna preciso, come fosse un mondo storico; e appunto perciò in un mondo così fantastico rimane pedestre e minuto, e non ti sottrae al reale, non ti ruba i contorni, non ti tira per forza in una regione incantata. A questo grande inventore di magie la Natura negò la magia più desiderabile, la magia dello stile. Le più originali concezioni, le più interessanti situazioni ti cascano sul più bello; sei nel fantastico e ti trovi nel volgare; e Angelica ti si trasforma in una donnicciuola, e Orlando in un babbeo. Il che avviene senza intenzione comica, unicamente per la soverchia crudezza de’ colori, a cui mancano le gradazioni e le mezze tinte. Così quel mondo che nella sua intima natura dovea essere fantastico e comico, ti riesce spesso nella rappresentazione prosaico e volgare. Non una sola situazione, non una figura è rimasta viva. Dicesi che il nobil conte facesse suonare a festa le campane del villaggio, quando gli venne trovato il nome di Rodamonte, quasi l’importanza fosse ne’ nomi o ne’ fatti. E non è Rodamonte, che è rimasto vivo, è Rodomonte.

Se il Bojardo recitava i suoi canti a’ signori ferraresi,