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a giustizia e concordia, ristaurando l’impero della legge. Nè è a temere che sia tiranno, perchè nella stessa sua onnipotenza troverà il freno a sè stesso: perciò rispetterà le franchigie de’ comuni e l’indipendenza delle nazioni. Questa era l’utopia dantesca o piuttosto ghibellina. Dante ne ha fatto un sistema e ne è stato il filosofo.

Scendendo alle applicazioni, Dante mostra nel secondo libro che la monarchia romana fu di tutte perfettissima. La sua storia risponde alle tre età dell’uomo. Nell’infanzia ebbe i re: adulta, e rettasi a popolo, con geste maravigliose, una serie di miracoli che attestano la sua missione provvidenziale, si apparecchiò alla età virile, ordinandosi a monarchia sotto Augusto, che san Tommaso chiama Vicario di Cristo, e che Dante, seguendo la tradizione virgiliana, dice discendente da Enea fondatore dell’impero, per disegno divino. E fu a quel tempo che nacque Cristo, e fu suddito dell’impero e compì l’opera della redenzione delle anime, mentre Augusto componeva il mondo in perfetta pace.

Da queste premesse storiche Dante conchiude che Roma per dritto divino dee essere la capitale del mondo, e che giustizia e pace non può venire in terra se non con la ristaurazione dell’impero romano, la monarchia predestinata, di cui la più bella parte, il giardino, era l’Italia.

In apparenza, questo era un ritorno al passato, ma ci era in germe tutto l’avvenire: ci era l’affrancamento dal laicato, e l’avviamento a più larghe unità. I guelfi si tenevano chiusi nel loro comune; ma qui al di là del comune vedi la nazione, e al di là della nazione l’umanità, la confederazione delle nazioni. Era un’utopia che segnava la via della storia.

Guelfi e ghibellini aveano comune la persuasione che la società era corrotta e disordinata, e chiedevano il paciere. La selva, immagine della corruzione, è un punto di partenza comune a Brunetto guelfo, e a Dante ghi-