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libro quarto 287

ardore a rilevarne le mura, a ricavarne i fossati. Vegliava alla pietosa opera l’esercito della Lega, perchè non venissero a turbarla gl’imperiali; nè si mossero di là, prima che i Milanesi si fossero convenientemente muniti da reggere soli a qualunque assalto nemico. Così fedelmente adempiuto al primo patto della Lega, gli animi delle altre città, che non si ardivano ancora di entrarvi, si raffermavano nella certezza, che nella unione fosse la salute della loro patria1. Vollero poi i Consoli tramandare ai posteri con pubblico monumento quel benaugurato giorno della loro tornata in patria. Nell’anno 1171 stando in sul rifare le porte della città, su la Romana fecero scolpire a mezzo rilievo l’entrare che fecero in Milano, ricondottivi dalle milizie federali2.

Esempio di civil temperanza e di senno ai presenti furono i consigli de’ collegati in quel primo risorgere a libertà. La scossa dell’abborrito giogo non l’inebriò di quelle prolungate esultanze, che se giuste sono, sono sempre importune. Esse ammolliscono i rigidi spiriti, sviano le menti dalla finale consecuzione dello scopo, rubano quello inestimabile tesoro che è il tempo. E del tempo assai bene usavano i collegati. Rimessi nella lor sede i Milanesi, con ogni studio intesero ad ingrossare il corpo della Lega, perchè al risalire che facesse il Barbarossa a quelle loro parti, trovasseli in punto di ottima resistenza. Noiavali molto la imperiale Lodi. Era questa affezionatissima al Tedesco: e locata tra Cremona e Milano pessimamente turbava i disegni della Lega, che voleva bene e tosto raffermare la metropoli Lombarda. A questa era mestieri recar provvisioni da vivere, perchè le campagne disertate dalla guerra ed abbandonate non rendevano ancor frutto, e i Lodigiani potevano a loro posta impedirle e intraprenderle. La loro città era

  1. Otto Morena p. 1135. — Trist. Calchi, lib. XI. p. 268.
  2. Vedi il disegno di que’ Bassorilievi pubblicati dal Giulini e dal Rosmini nella sua Storia di Milano.