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libro terzo 257

stenza, che quegli con molto danno se ne ritrasse. S. Angelo non si voleva rendere, e Federigo piegò lo sforzo contro S. Pietro.

La Basilica Vaticana a quei tempi tanto fortunevoli era munitissima come castello. V’era dentro chi sapea difenderla, e nessun frutto facevano gli assalitori che la battevano. Federigo che non era preparato a tanta resistenza, come lo consigliarono le interne furie, non rattenuto dalla santità del sito, non dalla riverenza del Principe degli Apostoli, diè mano al fuoco, che fece appiccare alle venerande mura. Arsero queste di sacrilego incendio: e in poco d’ora divorata dalle fiamme la vicina chiesa di S. Maria in Torre colle sue porte di bronzo, ed i vicini portici, i difensori temendo il finale eccidio di quella sacratissima sede della cristiana religione, la lasciarono nelle sozze mani del Tedesco. Federigo v’intruse il suo Pasquale, che tra i sacrileghi riti, lo incoronò colla Beatrice1.

Alla vista di quelle fiamme si ritraeva Alessandro dal Laterano alle affortificate case de’ Frangipani, indi insiem con questi si rinserrò nel Colosseo. Sicurissimo rifugio, guardando alla solenne fortezza delle mura; opportunissimo ad associare i destini di un tribolato Pontefice, a quelli di tutta la Chiesa, che in quel ricinto pugnò, e vinse colla virtù dei Martiri il furore di altri Cesari. Orsi e leoni a quei primi tempi; Tedeschi dopo. Colà chiuso coi Vescovi ed i Cardinali deliberava, provvedeva l’animoso Alessandro ai bisogni della Chiesa e dell’Italia, quando eccoti venir rimontando il Tevere due galee di Sicilia, ed arrestar le prue presso la Basilica di S. Paolo. Le spediva celeramente Guglielmo con un grande tesoro al Pontefice, perchè avesse uno scampo nelle crudeli distrette in che si trovava. Ottone de’ Frangipani recò la consolante novella al Papa, e con questa i capi delle galee, i quali deposero ai suoi piedi l’oro che gli mandava Guglielmo. Riferì grazie Alessandro al devoto

  1. Acerb. Morena. 1151. — Card. Arag. Vit. Alex. III p. 459.