Pagina:Storia dell'arte in Sardegna dal XI al XIV secolo (IA storiadellartein00scan).pdf/63

I porti si riaprono al traffici e le navi genovesi e pisane più volte solcano il tratto del Tirreno che l'isola nostra divide dalle loro città.

Gli archivi di Pisa e di Genova rigurgitano di carte che attestano di quest'intensità di rapporti; formaronsi compagnie di commercio per facilitare i traffici ed i trasporti; tutta un'organizzazione commerciale ed industriale si svolse per l'utilizzazione del sale e delle miniere d'argento, le quali ancora oggi colle gallerie e coi pozzi scavati dai maestri della pietra, iniziati nelle industrie minerarie dell'Appennino, ci dicono dell'opera intensa ed intelligente dei minatori pisani.

Questo sollecito fiorire di commerci genovesi e pisani fece fluire numerosissima la popolazione continentale in Sardegna. Formaronsi nelle stesse terre dei giudicati ed in special modo presso gli scali intere borgate di genovesi e di pisani, più di questi che di quelli giacchè in breve volgere d'anni Pisa, favorita anche dalla supremazia religiosa, vi conseguiva il predominio commerciale e politico1.

Potenti famiglie feudali, che da tempo erano entrate nell'ingranaggio della vita comunale italiana, svolsero un'azione diretta sull'isola: ottennero concessioni, privilegi, e, forti di unioni matrimoniali colle famiglie dei giudici e dell'aiuto delle loro città, costituirono tale rete di rapporti da scalzare la vecchia compagine sarda.

I più potenti ordini monastici inviarono arditi ed attivi religiosi, che nelle vallate più fertili eressero monasteri e chiese, che diventarono centri di culto ed insieme d'industrie agricole.

Ad innalzare queste chiese, che i giudici donavano a sconto dei loro peccati pro remedio anime patris et mee et coniugis...., che i Donaratico, i Massa, i Capraia, i Doria erigevano ad attestar colla devozione

  1. A. Solmi, La Costituzione Sociale ecc. ccc., pag. 55.