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90 LIBRO SETTIMO — 1811.

avara, che avesse donato a’ partigiani suoi meno di ciò che donarono a nostro tempo i due re francesi; nè vi ha chi più di loro gli cercasse tra gli uomini meritevoli dello stato. Caddero con Giuseppe e Gioacchino i loro aderenti e affezionati, pochi non rimasero poverissimi, e niuno fu ricco per turpitudini. Gli uffiziali dell’esercito se non fossero stati mantenuti agl’impieghi dalla convenzione di Casalanza avrebbero accattato nel 1815, come accattarono anni appreso poichè per fedi spergiurate quella convenzione fu rotta.

Poco dopo videsi la insegna di Napoli, avendo usato sino allora in guerra, in mare e su le rocche, la bandiera francese: i colori nostri furono in campo turchino il bianco e l’amaranto. Nel giorno istesso fu prefissa la forza dell’esercito, ed era (benchè il decreto nol rivelasse) di sessanta mila uomini di milizia assoldati, quaranta mila delle civili; chiamarono i reggimenti, legioni; i generali di divisione, tenenti generali; e quei di brigata, marescialli di campo; molti altri nomi da’ nomi francesi variarono, che già sentivasi da Gioacchino e traspariva nel regno il desiderio della indipendenza. La nuova scuola politecnica ingrandì il già collegio militare; sursero nuove di artiglierie e del genio; in cento modi si provvide all’esercito napoletano, perocchè si divisava di congedare il francese; le coscrizioni si facevano quietamente e con prestezza, frutto del consolidato regno. E a tanti mezzi di forza si univano, per iscuotere il giogo della Francia, il comandar duro di Bonaparte e l’indole libera e presuntuosa di Gioacchino. Spuntò allora il primo sdegno fra i due cognati.

Nel qual tempo nacque all’imperatore de’ Francesi un figlio che appellò re di Roma; e Gioacchino, per impostagli riverenza, si recò a Parigi: e sebbene credevasi che vi si fermasse sino al battesimo a fine di accrescerne la pompa, inatteso tornò in Napoli molto innanzi della cerimonia. E giunto appena , congedò le schiere francesi, con decreto che nessun forestiero, se non prima dichiarato cittadino napoletano come prescriveva lo statuto di Bajona, potesse rimanere agli stipendii militari o civili. Spiacque l’ardito comando a Bonaparte, che in altro decreto disse: non bisognare ai compagni di patria e di fortuna di Gioacchino Murat, nato francese e asceso al trono di Napoli per opera dei Francesi, la qualità di cittadino napoletano per avere in quel reame uffizii civili o militari. Il re infuriò, la regina placava gli sdegni; pochi dei Napoletani timidi e servili biasimavano l’ardire di Gioacchino molti liberi, audaci, ambiziosi lo applaudivano; dei Francesi niuno, benchè cortigiano, si mostrava della sua parte. Nelle grandi contese di stato, in cui di ordinario primeggiano due opposte sentenze, capo dell’una si faceva il re, dell’altra la regina, e intorno a sè raccoglievano i sostenitori delle due parti: contendevano nel pubblico, accordavansi