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276 LIBRO NONO — 1821.

rebbe diviso dalla sua base. Fu quindi creduto (benchè dubbiamente come chi indaga gli altrui pensieri) che l’oste tedesca anzi che il Liri assalterebbe gli Abruzzi. Stese in prima linea il nostro secondo esercito, in seconda ed in riserva il primo; i quali, comunicando per la grande strada degli Abruzzi e per la valle chiamata di Roveto, contrapporrebbero al nemico il tutto delle forze, qualunque fosse il punto combattuto della frontiera.

Farebbero il maggior nerbo del nostro esercito i battaglioni più sciolti e più destri, che han nome di leggieri, così convenendo al terreno alpestre degli Abruzzi, ed a schiere nuove tumultuariamente composte. Reggerebbe ii general Pepe diecimila soldati di vecchia milizia, ventimila di nuova; il general Carascosa diciottomila degli uni, ventiduemila degli altri; quattromila prescelti per esercizio d’armi e disciplina resterebbero presidio della città, guardia della reggia, ultima riserva. Il general Pepe, capo delle milizie civili, affermava che di trentaseimila militi abruzzesi ventiquattromila erano vestiti alla militare, armati e vogliosi di guerra; ma il consiglio non volendo usare sopra modo dello zelo di quelle province, ne prese a difenderle quanto dalle altre del regno, e vi aggiunse i militi della Calabria, patria del generale, e i Dauni, e gl’Irpini da lui formati nell’anno 18 e suoi compagni nelle rivoluzioni del 6 luglio.

Le strade, i sentieri, le valli che menano dallo stato romano agli Abruzzi, erano state chiuse per forti opere di guerra; altre opere univano il Liri; si fecero inespugnabili le strette d’Itri; ed una fortezza in Montecasino, due forti in Pontecorvo e Mondragone, e doppia testa di ponte al Garigliano. Così alla frontiera: e intanto altre linee si preparavano indietro. Era secondo il corso del Volturno e dell’Ofanto, alle origini dei quali fiumi si siede la città di Ariano.

allora mutata in fortezza. In questa linea era Napoli, che, sebbene inabile a difendere sè stessa, difenderebbe potentemente il regno, perocchè proponevasi di abbattere le sue tre basse castella, ostacoli non già ma ricoveri al nemico e cittadelle contro il popolo, accrescere i baluardi di Santelmo da contenere quattromila soldati, trasportare in Capri e Messina le armi, le macchine, gli arsenali, ogni strumento di guerra; ritirare coll’esercito il reggente, la sua casa, il parlamento, il consiglio, gli archivii pubblici, i documenti della monarchia; torre alla città il prestigio pericoloso di sede del governo. E perciò dolorosa, ma non mortale, sarebbe stata la perdita di Napoli; ed infelice acquisto al nemico, cui non basterebbero diciottomila uomini per contenere un immenso popolo, resistere alle offese di Santelmo, respingere le facili sortite di quel presidio.

Sarebbe terza linea il terreno tra Cava ed Ariano per Sanseverino ed Avellino, e già un campo era segnato nei dintorni di Montefusco,