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LIBRO NONO — 1820. 255

combattere dalle mura. ma sarò nel campo, ed inabile a trattar le armi, pugnerò colla voce, vi darò ajuto di esempio e di ardire.

Compagni, amici, prima di rispondere riflettete maturamente, perciocchè i subiti consigli sconvengono dove sono a cimento vita, onore, libertà, ed avvenire; dimani allo spuntar del giorno, in questa piazza, ci raduneremo, ed armati; se Iddio, se i santi protettori e custodi della città vi avranno inspirata la guerra, noi sotto la guida celeste usciremo dalle porte, e combatteremo; sarà stata mia l’idea, vostra la decisione, comune la gloria o la rovina.»

Ciò detto, non attese risposta, ed applaudito partì: l’adunanza si sciolse. Restavano ancora molte ore del giorno, e tutte della notte alla fredda riflessione, ed alla solitudine, che sono negli uomini esortatrici di quiete; e ridottosi ognuno alla famiglia, già intesa e mesta del discorso, non cessò la doglia se prima i giovani non giurassero sopra i più teneri e sacri nomi di votar l’indomane per la pace.

All’ora prefissa del vegnente giorno la piazza fu ripiena di popolo, e giunto il principe Paternò in abito e treno da guerra, innanzi ch’ei parlasse si alzò grido universale di pace. Lo astuto principe lo avea previsto; e però col cenno intimato il silenzio, parlò in questi sensi: «Palermitani, poichè vi duole la guerra, tratteremo di pace, nè io sosterrò le opinioni di jeri, che oggi dannevoli mi sembrano sol perchè voi le rigettaste. Il nemico anch’egli ridomanda pace, ignorando per ventura nostra lo stato della città, e l’abbattimento del nostro spirito, ma non tarderà saperlo, se tarderemo a trattare. Primo dei nostri bisogni è la prestezza; oggi si dovea combattere, se volevate la guerra; oggi si fermi la pace, però che pace volete. Scegliete negoziatori che abbiano fama ed ingegno, e più che ingegno e fama, la fiducia vostra.»

Si gridò dal popolo, il principe di Paternò negoziatore. Ed egli: «Non potrei esserlo, perchè l’oratore di guerra mal si trasforma in legato di pace.» Più stimolo fu il ritegno; ed il popolo ripetendo a romore lo stesso voto, non permise che il principe parlasse, se non quando col gesto affermò di accettare. Ed allora disse: «Giacchè lo volete, sarò trattatore di pace, ma unite a me tre compagni da sostener la fiacchezza della mia mente, Concedete ai vostri quattro legati piena fidanza, pieni poteri; non rinnovate sopra noi la stessa ingiuria che faceste al principe di Villafranca, pur egli ambasciatore di pace, da voi spedito, per voi fatto fuggitivo e disertore; perchè allora (ricordatelo con vergogna) era pericolo tra voi riferire il vero.» Furono aggiunti al Paternò il colonnello Requesenz, l’avvocato...., e prima di muovere dalla città mandarono nuncio al general Pepe del loro vicino arrivo.

XX. Fu al generale nuova gratissima; perocchè le munizioni di