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LIBRO SETTIMO — 1815. 159

mico, Portella e Fondi abbandonati; Itri era ben guardato dal dodicesimo reggimento. Pochi soldati di Nugent campeggiavano tutta la frontiera dall’Aquila a Fondi; le schiere e di Bianchi e di Neipperg ordinate ad esercito avanzavano contro il Tronto ed il Liri. Gl’Inglesi, operando da nemici, predarono una nostra nave caricata di attrezzi per Gaeta. Poderosa armata con soldati da sbarco stava in Sicilia sul punto di levar l’ancore. Nello interno, la carboneria audacissima, i popoli ribellati, i partigiani del governo timorosi o cauti, nello esterno cadute le speranze di pace, rifiutata ogni offerta, ogni corriere impedito. Il principe di Cariati ambasciatore del re nel congresso, arrivato allora di Vienna, gli riferì lo sdegno de’ re alleati, ed il proponimento di nessuno accordo; lo stesso imperatore de’ Francesi biasimava la sconsigliata guerra, e per lettere la indicava principio e forse cagione alla rovina dell’impero. Queste cose si schierarono alla mente del re, stando egli in Pescara.

XCV. Allora volgendosi alte civili istituzioni, mandò in Napoli per essere pubblicata una costituzione politica, delle fogge comuni. Re, due camere, consiglio di ministri, consiglio di stato; le leggi proposte dal re, esaminate dalle camere; le magistrature indipendenti; le amministrazioni dello stato certe per leggi; le amministrazioni provinciali e comunali rette da magistrature delle province e delle comunità; la stampa libera; le persone, le proprietà sicure; le tante altre libertà e guarentige usate in quelle carte. Il gran difetto era nella elezione de’ deputati comunali, chiamati notabili; un gran pregio nella leva de’ soldati, non potendo farsene alcuna senza il voto del parlamento. La costituzione portava la finta data di Rimini 30 marzo, benchè mandata il 12 maggio, pubblicata il 18, tardo e ridevole sostegno di cadente trono. Quella legge un anno innanzi avrebbe salvato il regno ed il re, perchè le camere impedivano la guerra d’Italia; ma nel tempo in cui fu data, qualunque parlamento avrebbe operato a danno, essendo natura delle adunanze mettersi con la fortuna; ed i pochi (che la storia rammenta in disperati casi) eroici proponimenti si partono da popoli sollevati a tumulto, e non mai dal maturo consiglio de’ sapienti.

XCVI. In quei giorni il commodoro inglese Campbell, con due vascelli e due fregate scorrendo da nemico il golfo di Napoli, spedì ambasciatore alla reggente per dirle che avrebbe tirati a migliaja razzi sulla città se non gli fossero date, a riscatto di guerra, le navi e tutti gli attrezzi di marina ch’erano negli arsenali regii. La reggente chiamò a consiglio i ministri ed alcuni di maggior grido consiglieri di stato e magistrati, espose il caso. Il ministro di polizia denunziava che già sparse nella città le minacce del commodoro e per timore e malizia amplificati i pericoli, a’ primi assalti sarebbe certo, e forse irreparabile un tumulto di popolo; l’intendente pre-