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LIBRO SETTIMO — 1815. 157

come incuriosa de’ successi; il tempo stringeva, era per noi necessità aprire un varco, o ceder l’armi. Il re pose incontro a’ Tedeschi un battaglione del sesto reggimento (fra le indiscipline della terza legione disciplinato), ed alcuni cavalli della guardia, con lui stesso a sostenere le offese del nemico; e dietro quella linea fece sboccare la intera colonna, e l’altra che da Macerata incalzata di fronte appena usciva. Furono morti alcun de’ nostri, e più feriti, tra quali il colonnello Russo prode in guerra: l’esercito fu salvo.

Andavamo sicuri quando fu visto con maraviglia uscir di Mont-Olmo, a guerra finita, il generale Caraffa con la sua brigata di tremila uomini; ed allora il re con fogli e per nunzii gli prescrisse di fermare in Santa Giusta dove troverebbe viveri e campi. Le altre due colonne giunsero a porto di Civita, e s’incontrarono alla legione Carascosa, che ordinatamente veniva di Ancona. In Macerata alloggiò l’esercito di Bianchi. Neipperg, non più trattenuto gli si congiunse per Iesi e Filotrano. Quei due generali tornali sopra una stessa base, mutato obbietto, geometrizzavano nuove linee, e davano, loro mal grado, tempo a noi di ristorare i danni ed afforzarci, se non avessimo avute in noi stessi le cagioni ognora crescenti della ruina. La guardia, che dovea per comando accampare a porto di Civita, scomposta proseguì verso Fermo e si disperse; la seconda e terza legione alloggiarono confusamente e ribellanti; la brigata del general Caraffa, per timidezza di lui, non arrestatasi a Santa Giusta, andò inattesa a Fermo; mancò di viveri e di campo; le mormorazioni, sino allora sommesse di alcuni capi, divennero più forti e più estese. Si voleva in tanta estremità di casi e di pericolo estrema rigidezza d’impero e di pene; ma cento falli vecchi e nuovi, e gli usi, l’animo, il cuore di Gioacchino, sopprimevano i concetti arditi, o ne impedivano l’adempimento.

A’ descritti mali si aggiunse notte, per copiosa pioggia ed aspro gelo, sì cruda, che non pareva di primavera e d’Itatia, ma dell’orrido verno della Svizzera: le diserzioni furono assai; i torrenti, fatti inguadabili, trattennero per alcune ore l’esercito; e l’impedimento fu pretesto a scompigli e fughe maggiori. La cavalleria, gli artiglieri, i zappatori peccarono ancor essi d’indisciplina; la stessi prima legione vacillò, si tenne per sola virtù del capo all’obbedienza. Andavamo per bande a Pescara, dove confidavamo rincorare gli animi dietro i ripari della fortezza; ma i danni furono maggiori per naturale incremento del male, e perchè la facilità a’ soldati di tornare alle proprie case inanimiva te diserzioni.

XCIII. Il re giungendo in Abruzzo chiarì i fatti del general Montigny. Egli che doveva difendere con mille e seicento soldati le fortissime strette di Antrodoco, il dì 1°. maggio, all’avviso che il nemico avanzava, le abbandonò riparandosi all’Aquila. La inattesa